martedì 27 aprile 2010
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Il caso del neonato abortito alla 22ª settimana e sopravvissuto per più di un giorno ripropone in modo drammatico il tema dell’assistenza ai prematuri e dei limiti da porre alle interruzioni di gravidanza. Negli ultimi anni infatti, visti i progressi nei mezzi di assistenza ai neonati estremamente prematuri, è stato possibile mantenere in vita bambini di peso ed età gestazionale molto bassi. E ora la sopravvivenza di neonati tra la 22ª e la 25ª settimana di gestazione – seppur non scontata né priva di rischi di esiti a distanza – apre nuovi scenari e problemi. Nel 2006 la Carta di Firenze definiva come «cure straordinarie» quelle prestate a neonati sotto le 25 settimane, invitando a «non accanirsi» nella loro rianimazione. Un atteggiamento che sembrava anteporre il rischio professionale di contenzioso medico-legale o l’aspetto economico al dovere di offrire una possibilità di vita ai questi neonati. Mentre un documento dei primari ginecologi delle università romane richiamava il diritto di ogni neonato vitale a essere trattato come qualsiasi persona, e quindi anche a essere rianimato. Le Linee guida predisposte dalla Cattedra di neonatologia e dall’Istituto di bioetica dell’Università Cattolica di Roma proponevano di distinguere le condizioni in sala parto, dove in presenza di segni vitali era sempre doveroso rianimare il neonato, dall’assistenza da prestare nei giorni seguenti. Ma anche documenti ufficiali hanno raccomandato di dare una preferenza alla possibilità di vita, seppure remota. In tal senso si sono pronunciati (nel 2008), sia il Comitato nazionale per la bioetica, sia il Consiglio superiore di sanità. Il primo ha sottolineato come la «previsione di una disabilità, anche grave, ma compatibile con la vita, destinata a colpire il neonato prematuro non può giustificare la desistenza delle cure a suo favore». Mentre il secondo ha predisposto «raccomandazioni» che dispongono di assicurare le appropriate manovre rianimatorie al neonato per evidenziare eventuali possibilità di sopravvivenza, anche in seguito a terapia intensiva. L’altra faccia della medaglia riguarda l’interruzione di gravidanza: la legge 194 prescrive che se sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, si debbano adottare le misure necessarie ad assisterlo e salvarlo. Ma il tentativo della Regione Lombardia di adottare un atto di indirizzo sulla questione, è stato respinto sia dal Tar sia dal Consiglio di Stato. Peraltro, negli ospedali lombardi, continua a essere mantenuto il limite di 22 settimane e 3 giorni oltre il quale non è più possibile praticare l’aborto perché il feto ha possibilità di vita autonoma. Del resto, conferma l’ex presidente della Società italiana di neonatologia, Claudio Fabris, conferma che le possibilità di sopravvivenza di questi neonatini migliorano di anno in anno: «Se il feto nasce vivo, bisogna fare tutto il necessario per rianimarlo. Se si vede che ciò si traduce in un accanimento terapeutico con danni al bambino, allora bisogna assicurargli le cure compassionevoli».
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