martedì 18 agosto 2015
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Hanno fatto bene, hanno fatto male? La decisione di non far nemmeno vedere il figlio appena nato a Martina Levato fa discutere, e gli stessi pareri degli addetti ai lavori divergono, anche in modo significativo. L’avvocato familiarista Anna Maria Panfili  scuote il capo perplessa. Un bambino va dichiarato adottabile quando è in stato di abbandono. «Il piccolo Achille lo è? E i suoi genitori sono del tutto incapaci di svolgere il loro ruolo? Le loro personalità sono indubbiamente inquietanti, ma sono anche incompatibili con il ruolo di genitore?». Al centro, come sempre in questi casi, dev’essere l’interesse del minore. Qual è?  «Se possibile, il rapporto tra figlio e genitori va mantenuto. E se dev’essere interrotto, perché si è convinti che i genitori possano incidere negativamente sulla crescita del bambino, se possibile il rapporto va mantenuto con i familiari». I nonni, se fossero ritenuti idonei. Forse, spiega Anna Maria Panfili, «si vuole creare un’interruzione, affinché il bambino non sia coinvolto nella storia negativa dei genitori. Comunque sia, fosse anche adottato, verrà il momento in cui potrà far valere il proprio diritto, sancito dalla Convenzione dei diritti del fanciullo (New York, 1989), di conoscere da chi è nato». L’augurio è però che siano studiate alternative all’adozione: «Speriamo sempre nella riabilitazione e nel recupero dei genitori». Difende invece la decisione del pm il magistrato  Giuseppe Magno, già direttore del Dipartimento sulla Giustizia minorile al Ministero: «Una scelta inevitabile. La separazione dalla madre dalla nascita corrisponde all’interesse del bambino. Non è accettabile, anzi è deprecabile che un bambino cresca in carcere e a contatto con una madre che, se le accuse contro di lei fossero confermate, si è comportata in modo che definire scriteriato è poco». È un comportamento che denoterebbe «una totale mancanza di rispetto  per il prossimo e un ben scarso equilibrio psico- affettivo». In casi simili, «la prima cosa da fare è un’operazione chirurgica di distacco, per limitare i danni al bambino».  Adozione dunque? Meglio l’affido, per Magno, almeno «in teoria» ai parenti più stretti, se idonei, decisione che non comporta l’interruzione dei rapporti con la famiglia di origine del bambino, nella speranza che «i genitori recuperino se stessi».  La pensa in modo opposto la psicoterapeuta  Sofia Tavella, docente di Psicologia clinica all’Università La Sapienza di Roma e di Psicopatologia dell’adolescenza alla scuola di Psicoanalitica per l’infanzia e l’adolescenza di Bologna. «A un’operazione chirurgica di distacco (espressione usata da Magno, ndr) preferisco sempre un’operazione chirurgica di relazione. E un bambino, ogni bambino, anche Achille, ha bisogno innanzitutto di una relazione con la figura primaria di accudimento: la mamma». Anche quella mamma particolare, una mamma che ha fatto quel che ha fatto, una mamma giudicata dagli psichiatri 'borderline'? «Sembrerò pure 'anormale', ma penso che in ogni persona ci possa essere un punto accessibile al bene. E le carceri sono attrezzate con spazi per giovani donne e i loro figli piccoli. Credo anche nel carcere come luogo di cura e riabilitazione».  In alternativa potrebbe esserci l’affido ai nonni... «Non sarebbe la stessa cosa. La figura primaria rimane la mamma». E il bene del bambino? «Il bene del bambino è strettamente legato alla relazione con la madre. Gli abbracci faranno bene a entrambi. La relazione con il figlio potrà far apprendere alla madre la capacità di accudire l’altro, non umiliarlo e massacrarlo». Certo che il carcere potrebbe non essere l’ambiente adatto per il piccolo Achille, come sottolinea Magno. «Il bambino ha diritto a vivere nel suo ambiente, e il suo ambiente è la mamma che si prende cura di lui». Quella di Sofia Tavella è la «pedagogia dell’accoglienza » di don Bosco, della pedagogia della vita fondata sulla relazione primaria tra madre e figlio, che viene prima di tutto. La decisione sarà una questione di 'chirurgia': distacco o relazione. E non sarà una decisione facile.

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