giovedì 28 febbraio 2013
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​Pier Luigi Bersani ha smaltito lo stordimento dopo la batosta elettorale e comincia a ragionare a mente fredda. Serve una strategia che porti a concretizzare. La situazione è magmatica e il segretario del Pd ne parla con l’alleato Nichi Vendola: bisogna tentare il tutto per tutto, stanare i grillini e mettere davanti al nuovo Parlamento lo spettro di un nuovo voto. Con i mercati che fluttuano, bisogna vedere chi si prende la responsabilità di mandare tutto a monte, ragionano ai piani alti di Largo del Nazareno. E allora il leader pd gioca tutte le sue carte. A cominciare dall’amicizia con i leader europei. Così la prima sponda la trova in François Hollande, che condivide con il papabile premier italiano la preoccupazione per i risvolti economici di un eventuale stallo. Ma le insidie per il segretario democratico non sono solo nel nuovo panorama politico. Dentro il Pd ci sono i renziani, che spingono il sindaco di Firenze a passare al contrattacco. E all’area dei rottamatori si aggiunge quella dei contrari al corteggiamento di Grillo da parte di Bersani, più favorevoli invece al governissimo, magari con Enrico Letta premier.Bersani resiste. Il suo Pd, ripete, è arrivato primo, anche se non ha vinto. E tocca a lui dare le carte. Subordinate non sono all’ordine del giorno. Allora, il segretario continua ad accreditarsi come interlocutore europeo. «Riformare il sistema politico italiano e rilanciare misure tese a risolvere i problemi sociali causati dalla recessione sono due obiettivi decisivi per l’Italia – convengono Hollande e Bersani – . La crisi economica e la sofferenza che ne deriva sono ormai di tale gravità che è anche l’Unione Europea in quanto tale a non poter e non dover restare sorda rispetto al messaggio chiaro che emerge dal voto degli italiani». E gli italiani hanno premiato il Pd come maggior partito. Per cui, ne deduce il vicesegretario Enrico Letta, «il candidato premier resta Bersani, è il candidato con cui ci siamo presentati alle elezioni, noi vogliamo mettere in campo tutto il Pd quindi il candidato resta chi ha vinto le primarie e ha avuto la maggioranza».Ma le resistenze sono tante. Matteo Renzi non intende farsi trascinare nel guado da chi ricorda che aveva previsto quello che è accaduto con M5S ed è pronto a rientrare in scena. Bersani vive la sua presenza come un’ombra funesta che lo accompagna nel disperato tentativo di salvare il Paese con questo Parlamento, senza tornare alle urne. Consapevole che – se si votasse di nuovo – dovrebbe passare il testimone al suo sfidante delle primarie. Il "rottamatore" veste i panni del responsabile e resta ancora ai margini della scena. «Che cosa dovrei dire che non ho già detto? E se poi pensano che ora mi metta ad attaccare Bersani non hanno capito niente: io non faccio lo sciacallo», dice a La Stampa il sindaco di Firenze, che però rifiuta «di condividere e, soprattutto, di venire a Roma per fare riunioni di "caminetto"». Di fatto non potrebbe che ripetere «che il nostro compito era snidare gli elettori delusi del centrodestra» o che «non bisognava sottovalutare Berlusconi» e tanto meno Grillo.Dunque anche Renzi attende le mosse di Bersani e i suoi più stretti collaboratori, come Gori e Richetti, guardano al «momento drammatico», che non consente ancora rese dei conti interne. La vera preoccupazione, invece, è sul dopo. Ovvero, se si dovesse tornare alle urne. A quel punto per i fedelissimi del sindaco non servirebbe neanche il congresso: la successione sarebbe naturale. Ma non tutti sono convinti che Bersani sarebbe pronto a lasciare il testimone. Di certo il leader pd per ora vuole giocarsi la partita, anche se le carte non sono quelle che si aspettava.
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