venerdì 19 gennaio 2018
Il viceministro degli Esteri rassicura: «I nostri militari faranno solo addestramento»
Giro: in Niger non per fini bellici o economici
COMMENTA E CONDIVIDI

Né una missione con fini commerciali neocoloniali, né tantomeno bellici. «Dopo il sostegno dato con la cooperazione, sosterremo la formazione delle forze di sicurezza di un Paese africano circondato da Stati fragili, che sta impegnandosi nella lotta ai trafficanti. Le polemiche sono legate a questa fase pre-elettorale », assicura Mario Giro. Il viceministro degli Esteri parla del Niger con cognizione di causa, visto che già nel 2010, prima di avere incarichi governativi, negoziò per la Comunità di Sant’Egidio i colloqui di pace per traghettare il paese, dopo il colpo di stato militare, verso la democrazia.

La missione è passata a larga maggioranza, ma non senza polemiche. Liberi e uguali ha parlato di interessi neocoloniali mascherati dal contrasto ai trafficanti.
L’Italia non ha interessi economici nei settori minerari di cui il Niger è ricco. E non si può confondere l’Italia con la Francia, che invece è lì da molto tempo. Noi abbiamo 400 soldati in Libia, a Misurata, ma non si dice la stessa cosa per un Paese che pure è stata una nostra colonia. È una polemica legata alla campagna elettorale.

Fratelli d’Italia, che pure appoggia la missione, sottolinea che l’Italia non dovrà sostenere gli interessi commerciali della Francia.
Non è così. Se avessimo voluto farlo, saremmo da tempo in Mali, non in Niger. Non accettammo la richiesta di Hollande, quando ci chiese un sostegno militare, almeno nell’operazione Minusma dell’Onu. Abbiamo invece scelto ora di sostenere gli africani, la loro forza G5 Sahel (Mali, Niger, Ciad, Burkina Faso e Mauritania, ndr) nata autonomamente. Posizionandoci solo in Niger.

Anche Pax Christi ha usato toni forti: scelta folle, guerra mascherata da missione umanitaria.
Non è una missione di guerra, ma di addestramento dell’esercito nigerino. La paragonerei semmai alla missione che abbiamo in Kurdistan, nel nord dell’Iraq. O a quella in Libano, dove dal 2006 aiutiamo un Paese la cui stabilità è a repentaglio per le pressioni terroriste nell’area. Le regole di ingaggio sono chiare, anche se certamente ci saranno precauzioni da prendere, dato che il Niger è in una situazione complicata, in primo luogo per i nigerini. Ma non è meno semplice dell’Iraq, dove abbiamo più di mille uomini, o dell’Afghanistan, Paesi da cui ritireremo uomini come hanno detto Gentiloni e Pinotti. Ripeto, non ci saranno operazioni di guerra. Mandiamo lo stesso numero di uomini in- viati per proteggere l’ospedale di Misurata o il cantiere della diga di Mosul.

Può escludere che i militari italiani saranno coinvolti in azioni belliche?
Se così fosse anch’io sarei stato contrario, ma non c’è questo pericolo anche se i rischi esistono sempre. Non andiamo a combattere, ma a sostenere uno Stato: non vogliamo trovarci con una seconda Libia, considerando anche cosa succede nel Mali del Nord. Guardi, io condivido tutte le preoccupazioni sull’andare a fare operazioni militari a caso in giro per il mondo. Ma l’Italia di oggi è saggia prudente. Si tratta, lo ricordo, dell’ultima fase dell’impegno del-l’Italia in quell’area e in quel Paese. Abbiamo cominciato con la cooperazione allo sviluppo, poi col sostegno finanziario, quindi con l’aiuto sul transito di flussi migratori, con finanziamenti all’Oim e all’Acnur che hanno organizzato una grande operazione civile per il sostegno ai candidati alla migrazione. Il governo nigerino, com’è noto, è molto impegnato sul contrasto ai 'viaggi della morte' e ai trafficanti.

I critici rilevano che il Niger non è uno stato democratico come l’Italia.
Non sono cieco, lo so benissimo. La democrazia in quella parte d’Africa deve ancora fare passi avanti, ma almeno siamo tornati al processo elettorale. Non possiamo accettare il rischio di una frammentazione dello Stato: qui almeno abbiamo un interlocutore, se no con chi discutiamo di diritti umani?

Chi fa cooperazione parla del Niger come di un partner affidabile, stretto tra Mali, Nigeria e Libia.
È così. Noi comunque vigileremo sul rispetto delle regole di ingaggio, ma abbiamo piena fiducia nei nostri militari, la cui fama è ben nota nel mondo. Sanno come affrontare queste situazioni e farsi ben volere della popolazione. Invece che flagellarci, dovremmo andare fieri della loro esperienza militare e umana.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: