giovedì 17 marzo 2016
​Il viceministro degli Esteri rilancia la necessità che l'Italia non si chiuda dentro i propri confini.
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I confini geopolitici dell’Italia non possono essere rinchiusi nei suoi, per certi versi angusti, limiti fisici. Le frontiere si sono progressivamente dilatate. Fino a sfiorare l’America Centrale e il Medio Oriente. E, soprattutto, l’Africa. «Quando affermo che quest’ultima è una nostra frontiera non parlo in senso metaforico. È un fatto reale». Mario Giro, vice-ministro degli Esteri con delega alla Cooperazione internazionale, è abituato a guardare Paesi e fenomeni in un’ottica globale. Il che richiede maggior sforzo ma è pure l’unico modo di non impantanarsi in soluzioni miopi. E inefficaci. Come gli inutili giri di vite sperimentati in ordine sparso da vari Stati europei per frenare il flusso di migranti. È necessario, al contrario sottolinea spesso il viceministro - inquadrare le questioni in un’ottica ampia. Strategica. Per questo, dall’Etiopia - dove si trova insieme al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella -, non si stanca di ribadire: «La cooperazione non è un lusso. È una condizione per la nostra sicurezza». Che cosa intende? Quando cooperiamo costruiamo politiche nuove sui grandi temi: rifugiati, migranti, sviluppo, crisi. Il fatto che la nuova legge inserisca fra gli attori anche il settore privato crea una connessione virtuosa fra i due assi di internazionalizzazione dell’Italia: quello delle imprese e quello della cooperazione. Un collaborazione che farà molto bene all’intero sistema. Lei parla spesso di “dilatarsi” dei confini italiani. Che cosa implica questo per la cooperazione e, in generale, per la politica internazionale? Non possiamo più essere un Paese “introverso”. Dobbiamo seguire tale ampliamento, per essere presenti dove i problemi si creano e trovare insieme ai partner delle soluzioni adeguate. Che ricadute ha tale prospettiva nei confronti della politica migratoria?L’immigrazione è un tema che deve essere seguito in maniera comune dall’Europa e, vorrei sottolinearlo, in maniera comune dall’Europa e dall’Unione Africana. Per farlo, innanzitutto, è necessario risolvere le crisi. Perché finché ci sarà guerra, continuerà l’esodo dei migranti. Questo vale per l’Africa come per il Medio Oriente, pensiamo alla Siria e all’Iraq. Che fare al proposito? Abbiamo visto, in passato, come gli interventi militari improvvisati finiscano solo per complicare ancor più la situazione. La soluzione delle crisi deve essere pensata, dunque, in un’ottica di lungo periodo, in modo da rendere questi Paesi vivibili sia dal punto di vista della democrazia e dei diritti sia dal punto di vista economico-sociale. Che ruolo ha la cooperazione nella ricerca di tali soluzioni? Le faccio l’esempio dell’Africa, una delle priorità della nostra cooperazione, poiché presenta la nostra profondità strategica. Il Continente vive una fase di crescita. L’aumento del Pil, però, di per sé, non è sufficiente ad accrescere il benessere degli abitanti. Affinché la crescita si trasformi in sviluppo è necessario un passaggio ulteriore. Questo è il ruolo della nostra cooperazione. Realizzata, però, non a tavolino, bensì con profonda consapevolezza del terreno in cui operiamo. E, soprattutto, guardando in faccia le persone che vogliamo aiutare. Oltre all’Africa - ormai il nostro confine Sud quali sono le altre priorità della cooperazione italiana?Sono molte e difficili da riassumere. Cito solo alcuni esempi emblematici. Una linea di cooperazione forte è quella con il Medio Oriente e il Nord Africa, in primis la Tunisia, la cui tenuta democratica è nostro interesse nazionale. Non abbiamo, però intenzione di trascurare l’America Centrale, molto più vicina di quanto la distanza geografica indichi. La sfida del narcotraffico, l’allarme sicurezza, la strage dei giovani, ci riguardano direttamente.
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