mercoledì 28 marzo 2018
L'inchiesta di Catania sull'ong Proactiva Open Arms passa alla procura di Ragusa per la valutazione di reati minori. Il procuratore Zuccaro: faremo altri approfondimenti
Cade l'accusa di associazione a delinquere. Ma resta il sequestro della nave
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Ne ha per tutti il gip di Catania. Tira le orecchie a Open Arms, che voleva condurre i migranti «in Italia ad ogni costo». Rimprovera la procura, cestinando ogni ipotesi di associazione per delinquere. Smentisce l’esistenza di una giurisdizione libica in mare. Fino a una clamorosa domanda: l’Italia coordina la Guardia costiera libica?
I soccorritori della Open Arms si erano rifiutati di consegnare alla Guardia costiera libica i migranti salvati in acque internazionali. Ma al centro dell’attenzione dei magistrati etnei è finita anche la decisione di portare 215 migranti in Sicilia, nonostante un primo ingresso nelle acque territoriali maltesi. Il giudice Nunzio Sarpietro ha perciò convalidato il sequestro, facendo però cadere l’accusa di associazione a delinquere, reato che viene perseguito dalle procure distrettuali, in questo caso quella di Catania retta da Zuccaro. Mancando il presupposto del reato associativo il magistrato si è dichiarato incompetente territorialmente, trasmettendo gli atti alla procura di Ragusa.

Le decisione del Gip, dunque, sconfessa la linea del procuratore Zuccaro che nella tarda serata di ieri ha emesso un lungo comunicato stampa con il quale spiega che "con riguardo al delitto di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina il giudice, pur non ritenendo allo stato delle indagini sussistente il fumus commissi delicti e dichiarandosi incompetente per territorio a favore del Giudice di Ragusa" ha rilevato la necessità "di ulteriori approfondimenti investigativi che questo Ufficio sta già effettuando".

Gli indagati adesso sono due, il comandante e una operatrice. Peraltro il gip ha rimproverato i pm catanesi per avere interrogato quali testimoni (senza difesa) tre membri dell’equipaggio avendoli poi indagati usando proprio le dichiarazioni rese quali «persone informate dei fatti» e non come «indagati». Con il risultato che circa dieci ore di audizioni davanti ai pm saranno inutilizzabili.
La situazione in Libia, però, allarma anche il magistrato. È noto, continua il gip, «attraverso i numerosi report» sull’attuale situazione «che anche il trattamento riservato ai migranti è veramente degradante; ed è altrettanto vero che è auspicabile un intervento internazionale, che solleciti le autorità libiche ad un maggior rispetto dei soggetti che fuggono dai loro territori per sottrarsi a persecuzioni, violenze ed alla fame». Il fatto, però, che i campi profughi in Libia «non siano un esempio di limpido rispetto dei diritti umani, non determina automaticamente che le Ong possano operare in autonomia e per conto loro, travalicando gli accordi e gli interessi degli Stati coinvolti del fenomeno migratorio, e violando la normativa regolamentare delle operazioni di salvataggio che hanno volontariamente sottoscritto, e quindi accettato». È vero che il Codice di condotta Minniti «non costituisce un compendio di regole, la cui violazione - spiega Sarpietro - determina automaticamente l’insorgenza di un reato, e della conseguente sanzione penale, però la infrazione di questo autoregolamento rivela il rifiuto di operare all’interno di precisi precetti prefissati dallo Stato italiano». L’azione delle Ong, ricorda infine il gip, «deve essere regolamentata, perché non può essere consentito alle stesse di creare autonomi corridoi umanitari al di fuori del controllo statuale ed internazionale, forieri di situazioni critiche all’interno dei singoli Paesi sotto il profilo dell’ordine pubblico e della sicurezza». Toccherà ora alla procura e al tribunale di Ragusa decidere come procedere davanti a reati ritenuti dal gip di minore entità.


Il capitolo dedicato alle modalità operative in Libia, però, non manca di clamorose sorprese. Il giudice conferma che al momento non esiste alcuna area di ricerca e soccorso di pertinenza della Libia, che dunque non ha alcuna giurisdizione in acque internazionali. Poi precisa: «Alle ore 05,37 il personale a bordo della nave militare italiana Capri, di stanza a Tripoli, comunicava a Roma che una motovedetta della Guardia Costiera Libica di lì a poco avrebbe mollato gli ormeggi per dirigersi verso l’obiettivo, e specificava che la detta Guardia Costiera avrebbe assunto la responsabilità del soccorso». Poi viene riferito di «motovedette libiche intervenute per effettuare una operazione di soccorso, come richiesto da Roma e sotto l’egida italiana con le navi militari di stanza a Tripoli».
Secondo questa ricostruzione, non sarebbe la Libia ad agire in completa autonomia, ma l’Italia a cooperare alle operazioni dei guardacoste di Tripoli. «Alle ore 06,44 il personale della Nave Capri – aggiunge il magistrato – comunicava a Roma che la motovedetta Gaminez della Guardia Costiera Libica sarebbe giunta sul posto dell’avvistamento in circa un’ora e richiedeva di far allontanare l’unità della Ong per evitare criticità durante il soccorso». Sarebbe la prova di «un collegamento diretto tra le autorità italiane e la guardia costiera libica nella gestione delle operazioni di respingimento dei profughi», ha dichiarato il segretario dei Radicali, Riccardo Magi.
Un passaggio che necessita di chiarimenti. Sull’operato della Guardia costiera libica indaga la Corte penale internazionale dell’Aja, nell’ambito dell’inchiesta per crimini contro l’umanità.

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