venerdì 8 novembre 2019
Il miracolo d’essere sopravvissuto, la scelta dei genitori di lasciarlo, il “giallo” sulla fecondazione. Tutte le domande sollevate dalla storia del piccolo affetto da una malattia rarissima
Il piccolo Giovannino vive da 4 mesi nella Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Sant’Anna di Torino, accudito da medici e infermiere

Il piccolo Giovannino vive da 4 mesi nella Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Sant’Anna di Torino, accudito da medici e infermiere

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La solidarietà, che cresce a ogni ora che passa. Il dibattito e le polemiche tra chi crede che ogni vita sia degna d’essere accolta, e vissuta sempre, e chi invece no. E poi i dubbi, le domande. Continua a far parlare di sé Giovannino, il bimbo che ormai da 4 mesi vive nella Terapia intensiva neonatale dell’ospedale Sant’Anna di Torino. Dove i suoi genitori l’hanno abbandonato, alla nascita, per via della rarissima malattia di cui soffre: l’ittiosi Arlecchino. Della patologia che l’ha colpito abbiamo in poche ora imparato quasi tutto: una male ancora incurabile, che tocca a un nuovo nato su un milione, «forse 10 persone in tutta Italia» spiega Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore dell’Osservatorio malattie rare.

E che nelle prime settimane di vita scatena tutta la sua forza distruttiva contro il corpicino fragile d’un bebè, con complicazioni immani, tali da compromettere la sopravvivenza nella metà dei casi. Non così per Giovannino, che ha lottato e resistito, persino alla caduta di quel- la corazza dura e biancastra che deve averlo reso così mostruoso agli occhi di mamma e papà da paralizzarli. Pensare che il peggio sarebbe passato, che superata quella crisi iniziale Giovannino ha conquistato l’aspettativa di vita d’ogni altra persona. Con la sua disabilità gravissima, certo, che lo costringerà tutta la vita a creme, visite, monitoraggi, che lo lascerà senza ciglia e capelli, che lo farà soffrire, ma che non ne comprometterà vitalità, intelligenza, sentimenti. «Per chi lo accoglierà Giovannino sarà comunque un impegno importantissimo dal punto di vista psicologico e della vita quotidiana», continua Bartoli. Che poi è il vero nodo delle malattie rare e rarissime in Italia: «Le coperture economiche ci sono, ma l’assistenza no: per garantire quella, e per garantirla 24 ore su 24, serve un amore e una disponibilità oltre ogni limite». Il muro contro cui – forse – si sono schiantati i genitori di Giovannino. Sulla loro scelta, e su come il bimbo sia venuto al mondo, sappiamo infatti ancora poco. La privacy, giustamente, tutela la scelta così drammatica di una madre e di un padre. Ma non ne esclude responsabilità giuridiche, che saranno tutte da accertare nelle prossime settimane.

Nelle prime ore dall’ospedale è trapelata la notizia che il piccolo sia stato concepito con una fecondazione eterologa, che prevede – lo ricordiamo – l’impianto di gameti esterni alla coppia. Secondo altre fonti, invece, si sarebbe trattato di una semplice fecondazione assistita. «In entrambi i casi – spiega il giurista Alberto Gambino, presidente di Scienza & Vita – il disconoscimento della genitorialità del bambino è escluso dalla legge 40, in cui la volontà di procreare, a differenza degli altri casi, è espressa e diventa per così dire oggetto di negoziazione. Ottenere un figlio in provetta e poi rifiutarlo perché malato, d’altronde, significherebbe ridurlo a una cosa, non una persona». I genitori di Giovannino insomma non avrebbero potuto abbandonarlo per la legge: una fattispecie invece consentita quando la gravidanza è naturale (con l’obiettivo di impedirne l’interruzione). Fecondazione o no, «in ogni caso Giovannino ora potrà essere adottato e trovare una famiglia che lo possa amare come merita, che è poi l’aspetto più commovente di questa vicenda». Ma la rivelazione sulla presunta fecondazione eterologa ha sollevato, indirettamente, anche un altro dubbio in queste ore: quello sulla sicurezza delle pratica.

Può la mancanza di controlli sui donatori – in assenza, per altro, di un registro nazionale in Italia – aumentare la diffusione di ma-lattie rare? «Non in casi come questi, quando cioè ci troviamo innanzi a una patologia autosomica recessiva che ha una frequenza rarissima di trasmissione – spiega il genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù–. Impossibile intercettare la possibilità che un donatore sia portatore sano della mutazione in questione. Anzi, quello che andrebbe ricordato in generale è che tutti siamo geneticamente imperfetti e che un potenziale rischio esiste in ogni processo riproduttivo». L’assenza di rischio non solleva tuttavia «un centro dal dover immediatamente comunicare al donatore quello che è avvenuto» conclude il genetista. Un fatto che dovrebbe avvenire, se e ovunque la fecondazione sia stata effettuata, per evitare che la trasmissione di una malattia possa ripetersi. Di aborto, invece, ha voluto parlare ampiamenten il ginecologo dell’ospedale Sant’Anna Silvio Viale, famoso in passato per le sue battaglie sulla pillola Ru486. Sconvolgenti, le sue dichiarazioni: «Chiunque di noi, potendo conoscere la diagnosi durante la gravidanza, abortirebbe. C’è da sperare davvero che questo bambino non sopravviva, mentre bisogna garantire un’assistenza adeguata per il periodo che dovesse sfuggire alla morte».

Quanto all’ondata di solidarietà di cui Giovannino è stato investito «la giudico una cosa penosa, mi dispiace dirlo – ha aggiunto Viale –. È troppo facile sorridere, fare i pietosi e mostrare magnanimità a parole, facendo telefonate a vuoto ». Parole contro cui si è scatenata la reazione di centinaia di persone sui social e la protesta del consigliere regionale Maurizio Marrone (FdI), che ha annunciato un’interrogazione in Consiglio regionale e chiesto il deferimento di Viale all’Ordine dei Medici: «Un bambino malato non può essere trattato come un pacco difettoso di Amazon da rendere al mittente». Sotto accusa anche il riferimento ai «costi inimmaginabili» di Giovannino, «parliamo – ha proseguito Viale – di migliaia di euro e terapie continue. Servirebbe un benefattore milionario». Quando invece, come ribadisce l’Osservatorio malattie rare «nel caso del-l’ittiosi Arlecchino c’è un codice d’esenzione apposito e specifico, ogni spesa è a carico del Servizio sanitario e lo è per sempre». Per Giovannino, che intanto impara a sorridere e presto passerà dal latte alle pappe, continuano intanto le telefonate da parte di famiglie e strutture d’accoglienza. Sul suo futuro arriverà una decisione nei prossimi giorni.

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