sabato 25 luglio 2020
Il portavoce di Asvis ed ex ministro: intervenire anche sulla spesa pubblica eliminando i 19 miliardi di sussidi ai fossili. La proposta: inserire in Costituzione la giustizia tra le generazioni
Giovannini (Asvis): non bastano i soldi, serve cambiare le politiche
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La scelta europea è «uno straordinario passo avanti», spiega Enrico Giovannini, portavoce di ASviS, ex ministro del Lavoro del governo Letta e recentemente componente della task-force Colao. «Se si guarda alla storia di evoluzione delle federazioni – assicura l’economista da anni impegnato nell’attuazione dell’Agenda 2030 in Italia – ci si rende conto che esse non sono nate da un giorno all’altro ma un passo dopo l’altro, decidendo di rispondere insieme alle grandi crisi. È quello che sta accadendo anche in Europa. Ed è un passaggio così importante che giustifica qualche prezzo che è stato pagato, come i "rebates" o i tagli al bilancio comunitario che però speriamo possano essere recuperati con la negoziazione del Parlamento Ue. Ora bisogna decidere cosa fare di questi fondi. Credo che sarebbe un errore pensare a questi fondi separatamente da tutto il resto. Separatamente cioè da Sure, Mes, dal resto della spesa pubblica corrente italiana».

Cosa c’entra la spesa pubblica?
Faccio un esempio: date le condizionalità che esistono nell’accesso al Recovery and resilience facility, sarebbe difficilmente spiegabile presentare progetti per la transizione ecologica e nel frattempo continuare a pagare annualmente 19 miliardi per i sussidi alle energie fossili. Serve una coerenza tra le politiche italiane e quelle europee.

Cosa si intende per coerenza?
L’accordo ha deciso di considerare due elementi, lotta al cambiamento climatico e digitalizzazione, come pre-condizioni per approvare i singoli progetti. Questo vuol dire che l’Italia deve valutare preventivamente ogni progetto alla luce di questi due aspetti. Noi siamo indietro non solo sulla lista dei progetti, ma anche su quelle procedure che consentano di valutare se un investimento è in linea con il Green new deal, con la digitalizzazione, con i 17 Obiettivi dell’Agenda 2030, assunti dall’Unione europea come architrave di tutte le sue politiche. In pochi mesi il governo e il Parlamento si devono dotare di un sistema di valutazione ex ante delle politiche non solo rispetto ai parametri del Pil e dell’occupazione.

Sta dicendo che questo sistema ancora non c’è? E tutto ciò ha a che fare con la task force di cui parlano Conte e Gualtieri?
La trasformazione da gennaio 2021 del Cipe in Cipess, dove quelle due “s” stanno per "sviluppo sostenibile", è una scelta lungimirante proposta dall’ASviS e può servire allo scopo di rendere coerenti politiche nazionali, politiche europee e investimenti. Dal Cipe passano già i fondi ordinari per le infrastrutture e non solo. Questo organismo già esistente, peraltro presieduto dal presidente del Consiglio, può definire e monitorare le scelte per spendere le risorse nazionali ed europee.

Quale è il rischio se non si procede nella direzione di valutare i progetti in modo appropriato?
Il rischio è presentare all’Europa “vecchie” opere con un tocco di verde, quindi non adeguate alla rivoluzione che l’Ue vuole realizzare. Altro rischio, come detto, è quello di farsi finanziare opere nella direzione del Green new deal e poi avere una spesa corrente che finanzia il vecchio modello economico. Penso che questo ci farebbe molto male dal punto di vista della credibilità.

Per capirci: il ponte sullo Stretto sarebbe un’opera da bocciare?
Non è questione ponte sì – ponte no: la questione è se l’ipotetico ponte sarebbe agganciato a un sistema di mobilità da Palermo a Belluno, se l’ipotetico ponte è cablato, se serve anche all’alta velocità per i passeggeri e le merci... Non è questione di ideologia, ma di merito.

Eppure procedere su progetti sostenibili potrebbe non bastare, se non si fanno riforme. Su quota-100 già c’è uno scontro sotterraneo.
Rivedere quota-100, come auspico, significherebbe aver capito il senso profondo del piano europeo, che si chiama Next generation Ue, non Old generation Italy. Dobbiamo quindi assicurarci che non solo i fondi europei, ma anche quelli italiani aiutino a creare un futuro migliore per le giovani e le nuove generazioni. E quindi sono in linea con gli indirizzi Ue misure come “garanzia-bambino”, l’assegno unico, garanzia-giovani. Gli investimenti sulla scuola. In Italia 30 anni fa l’incidenza della povertà era massima nelle classi anziane e minima nelle classi giovani: oggi è il contrario.

Ci sarà il coraggio politico per guardare a chi non va a votare?
Prima delle elezioni, tutti i partiti tranne FdI e Lega dissero di essere d’accordo con la proposta dell’ASviS di modificare gli articoli 3 e 9 della Costituzione introducendo il principio della giustizia tra le generazioni. Sarebbe bellissimo se, insieme al varo del Recovery and resilience plan, il Parlamento approvasse in prima lettura questa riforma costituzionale. Sarebbe un segno enorme.

C’è un aspro dibattito sull’equilibrio tra Parlamento e governo nella gestione dei fondi Ue…
Una cosa è l’impostazione, che sicuramente richiede un ampio coinvolgimento delle forze parlamentari. Altra cosa è la gestione, che non può essere di tipo assembleare. È una questione di accountability: visto che si tratta di un piano pluriennale è bene trovare un accordo bipartisan sulla direzione da intraprendere, ma poi la gestione spetta al governo in carica, così che i cittadini possano sapere con chi prendersela se non si fanno le cose programmate. Si chiama democrazia.

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