domenica 18 giugno 2017
A due settimane dal ritrovamento per strada del bimbo appena partorito, la città apre un conto di solidarietà in memoria del piccolo
Ansa

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«Non avevo un nome, la pietà della gente della mia città mi ha chiamato Giovanni. Giovanni Di Settimo. Dall’alto dei cieli ricorderò tutti quelli che mi hanno amato e anche chi mi ha fatto nascere».

Il pensiero è del fondatore del Sermig, Ernesto Olivero, ed è soltanto uno delle decine di messaggi sulla scrivania del sindaco di Settimo Torinese, Fabrizio Puppo. La storia di Giovanni, due settimane fa, ha commosso tutt’Italia. Il bimbo, appena nato, era stato rinvenuto in fin di vita sul ciglio di una strada della cittadina nell’hinterland torinese. A trovarlo all’alba era stato un netturbino, avvisato da un ragazzo che aveva intravisto qualcosa di 'strano' avvolto in un asciugamano. Era ancora vivo ma, malgrado i soccorsi e l’immediato trasporto all’ospedale Regina Margherita, aveva resistito poche ore, giusto il tempo di ricevere il battesimo dal cappellano.

Dopo una breve indagine, è emerso che la madre abitava proprio in quella via e lo aveva abbandonato immediatamente dopo la nascita (forse gettandolo dal balcone). Non si capisce cosa sia accaduto quella mattina. La donna ha poi accompagnato l’altra figlia a scuola, facendo finta di nulla. Quando i carabinieri l’hanno raggiunta ha dato risposte confuse, dicendo che non aveva compreso di essere incinta.

«Fin da subito – racconta il sindaco – i social network si sono riempiti di commenti violentissimi, con insulti rabbiosi nei confronti di chi aveva compiuto un atto tanto atroce. Ma non era quella la strada giusta. Come amministratori abbiamo cercato di evitare di partecipare agli show della tv del dolore, cosa che avrebbe solo esacerbato gli animi».

In breve lo sdegno e l’ira popolare si sono trasformati in commosso affetto per il bambino. La rabbia ha lasciato il posto alla voglia di qualcosa di bello e di buono. «Mi hanno chiamato in molti – racconta il sindaco – offrendosi di pagare il funerale o di contribuire in qualche altro modo. Alla fine abbiamo deciso che sarebbe stato il Comune a sostenere le spese. Per produrre un atto di morte ne era però necessario uno di nascita e quindi un cognome. I medici del Regina Margherita lo avevano chiamato Giovanni. E io in persona ho deciso di chiamarlo Di Settimo. Giovanni Di Settimo. Era un bimbo della nostra comunità».

Così chi non era stato riconosciuto dalla famiglia è stato adottato da una comunità intera. Il giorno del funerale, in chiesa e in piazza, c’erano migliaia di persone a salutarlo, compreso il netturbino che lo aveva raccolto in braccio, prima di chiamare i soccorsi: si è avvicinato ed è stato accanto alla bara, in silenzio, commosso.

«Ora che si sono spenti i riflettori, credo sia necessario riflettere. Perché accadono ancora queste cose nel 2017 – si chiede il sindaco – pur con tutti gli strumenti sociali e giuridici a disposizione? C’è stato un disagio che nessuno ha potuto o voluto leggere. Si poteva fare qualcosa per evitarlo? Non lo so, ma questa storia ci insegna a cercare di dialogare con le persone e a non essere indifferenti».

La morte di Giovanni, pur nella sua tragicità, ha smosso molti. Proprio su richiesta dei concittadini (e non solo) è stato aperto un conto corrente per le donazioni. I fondi raccolti sino ad ora non sono irrilevanti e saranno devoluti a un’associazione del territorio che si occupa di infanzia e mamme in difficoltà. Giovanni, così, ha aiutato molti altri bambini.

Ricorda don Antonio Bortone, il parroco di San Pietro in Vincoli che ha celebrato il funerale: «Quella mattina abbiamo cercato di non seguire il facile sentimentalismo. Il clima era realmente commosso: non c’era solo empatia per la tragica storia, ma una notevole apertura alla fede. Adesso sarebbe davvero importante poter dialogare con i genitori. Non solo per comprendere, ma per parlare loro di speranza».

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