venerdì 10 febbraio 2017
Alla Camera la commemorazioni degli orrori delle foibe. Le parole di Mattarella e Boldrini. Il testo dell'orazione di Lucia Bellaspiga alla Camera
«Giuliani-dalmati, perseguitati e scacciati. Ma non hanno odiato»
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"L'Europa della pace, della democrazia, della libertà, del rispetto delle identità culturali, è stata la grande risposta agli orrori del Novecento, dei quali le foibe sono state una drammatica espressione". Queste le parole del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in un messaggio per il Giorno del Ricordo letto nel corso della cerimonia a Montecitorio. "Un impegno che, a 70 anni dal Trattato di Pace che mise fine alla tragica guerra scatenata dal nazifascismo, non può venire mai meno per abbattere per sempre il fanatismo, padre della barbarie e della crudeltà che si nutrono dell'odio".


Presenti nell'Emiciclo i ministri Alfano, Finocchiaro e Lorenzin e rappresentanti dell'esodo Giuliano-Dalmata. a questi ultimi la presidente Laura Boldrini ha manifestato "gratitudine". "Il vostro ricordo è il nostro ricordo. Il vostro dolore è il nostro dolore. Avete sempre lanciato un messaggio di pace soffrendo la violenza e l'esodo", ha detto la presidente.
Una cerimonia di commemorazione si è svolta anche a Basovizza (Trieste), presente la presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani.

Qui di seguito il testo dell'orazione civile tenuta da Lucia Bellaspiga alla cerimonia a Montecitorio.

Il padre portato via dai comunisti jugoslavi nel 1945, ormai in tempo di pace, e sparito nel campo di sterminio di Borovnica. La zia e la nonna deportate dai nazisti ad Auschwitz, cenere al vento. Un altro zio ucciso dai comunisti sovietici nelle Fosse di Katyn, e due cugini condannati ai lavori forzati in un gulag sul Don... Tutto questo è accaduto in una sola famiglia goriziana, quella di Giorgia Rossaro Luzzatto, 94 anni e una memoria che non vacilla. "Nella nostra famiglia si intrecciano i destini degli ebrei e dei giuliano-dalmati - mi ha raccontato in un 'intervista per Avvenire - , noi portiamo il lutto di tutti i regimi che hanno insanguinato il '900: del nazismo, del comunismo sovietico, del comunismo titino. I Giorni del Ricordo in casa nostra sono tanti, ma solo la memoria delle Foibe ci è stata negata per decenni: non ho mai visto nessuno venire dai Palazzi romani per il nostro 3 maggio", il giorno in cui suo padre, medico e uomo liberale, fu trascinato via sotto i suoi occhi.

Fu Giorgia ad aprire la porta al carnefice: "Ormai c'era la pace, che paura avrei dovuto avere'?", mi ha spiegato. L'ultima volta lo vide il 5 maggio dalla finestra del carcere di Gorizia, con un sorriso triste e la mano che salutava. Sua madre per 13 anni restò seduta davanti alla porta da cui era uscito... Una storia che si è ripetuta uguale in migliaia di famiglie istriane, fiumane e dalmate dopo il 1° maggio del '45, quando il resto d'Italia festeggiava la Liberazione dal nazifascismo e per gli italiani di Venezia Giulia e Dalmazia, e solo per loro, iniziava invece una nuova invasione ancora più sanguinaria.

Tra chi dovette scappare nel febbraio del '47 c'era la mia famiglia, vissuta a Pola da molte generazioni. Si partiva con ogni mezzo portando con sé il poco che si poteva, si fuggiva per restare italiani. E per salvarsi la vita.

Ho sempre negli occhi le immagini famose di un Film Luce che riprendono una partenza da Pola della nave "Toscana" carica di esuli: a bordo una donna anziana velata di nero, con il tricolore sul petto, lo sguardo immobile sulla città che si allontana. Lei sa che è per sempre e nulla riuscirebbe a distrarla mentre si imprime indelebile quell'immagine nell'anima.

Tanti e diversi sono stati i destini degli esuli all'arrivo, accolti come fratelli d'Italia o respinti come stranieri, magari proprio per via di quel loro dialetto o dei loro strani cognomi, sintesi di una storia millenaria. Oggi ci si stringe il cuore per i profughi venuti da guerre lontane, ma non sappiamo che i nostri italiani della Venezia Giulia e Dalmazia sopravvissero per anni in campi profughi allestiti per accoglierli ... nel loro stesso Paese. Furono sistemati in ex manicomi, carceri, caserme dismesse, persino ex campi di concentramento,e lì iniziava un nuovo incubo. Non più il mare e le pinete ma miseri accampamenti, non più le case in pietra tra le vigne e gli ulivi ma le coperte appese a fare da parete tra una famiglia e l'altra. Qui molti nacquero e passarono tutta l'infanzia, molti altri morirono senza più avere avuto una casa. Per gli anzia ni la disperazione fu fatale. Anche a mia nonna si spezzò il cuore, morta in un letto non suo nella città più bella e più triste del mondo, quella Venezia un tempo Serenissima, madre antica e matrigna moderna, dove visse sei eterni anni baraccata tra gli esuli.

lo sono nata molto tempo dopo, in una Milano ignara. In un'Italia tutta ormai ignara. Era come se la storia che sentivo raccontata in casa mia fosse un'altra, diversa da quella che conoscevano i miei compagni. Mai, in tanti anni di scuola, ho studiato una pagina che accennasse a quella tragedia. Ma le radici, anche se non vuoi, si fanno strada sottopelle e arriva l'istante in cui ti chiedi chi sei.

L'ho capito il giorno in cui mia madre ha trovato il coraggio di infrangere il muro del dolore e tornare a rivedere Pola. Ero bambina. Il mio ricordo è lei che piange, le mani strette alle sbarre di un cancello: la sua casa. La finestra si aprì e una donna gentile, con accento straniero, capì immediatamente: "Vuole entrare?", offrì a mia madre.


Salimmo i gradini. A stento immagino la tempesta di sentimenti che doveva agitare il suo cuore mentre varcava quella soglia e sostava da straniera nella camera dove aveva studiato e giocato con i fratelli bambini

Del suo esodo ho provato a immaginare il distacco definitivo, il momento dell'addio ineluttabile. Non è letteratura, è vita vera: uscire dalla casa in cui vivi e non per tornarci la sera, no: mai più. Domani, lo sai, nella tua stanza entrerà gente nuova, che non sa nulla della vita vissuta là dentro. Dcvi scegliere in fretta cosa portarti via, ma che valigia si prepara quando è per sempre?

È nelle parole di Nadilla, una bimba in fuga nel 1954 da Faiti, alle spalle di Trieste, che trovo l'immagine più plastica di ciò che intendo: "Toccai per l'ultima volta la mia terra: prima il tallone, poi la punta del piede abbandonarono la mia bella Istria e tutti i
miei ricordi". I ricordi sono spesso uguali: in un silenzio irreale rotto solo da singhiozzi e saluti, la nave si stacca dalla riva. E tu continui a guardarla, la tua casa, finché si vede, tino all'ultima ombra. Poi ti volti verso il nuovo orizzonte... e lì nasce quel dolore-del-ritorno che mai più guarirà.

A terra, sul molo, l'uguale strazio di chi rimaneva, per i più disparati motivi: per decenni sotto una dittatura atea e comunista hanno
sopportato un esilio in casa propria, calpestati in quanto italiani, ultimo baluardo che ha conservato fino a noi, in nazioni oggi amiche, la nostra lingua e la nostra cultura.

Opportunismi e real politik banno poi censurato il sacrificio dei giuliano-dalmati, che per dirla con l'ex presidente della Repubblica Giuseppe Saragat erano "italiani due volte, per nascita e per libera scelta". Si disse che se scappavano dal paradiso comunista dovevano essere certamente fascisti. Ma i nostri nonni e genitori erano stati antifascisti o fascisti esattamente come tutti gli altri italiani. Come ha detto Giorgio Napolitano, "la tragedia aveva assunto i sinistri contorni di una pulizia etnica".

Per saldare il debito di guerra dell'intera nazione, il nostro governo utilizzò le proprietà e i risparmi soltanto dei giuliano-dalmati. Le loro vite, insomma, hanno riscattato le nostre, e il debito mai onorato dall'Italia spiega in parte i decenni di silenzio: ci hanno
salvati, li abbiamo seppelliti.

Il Giorno del Ricordo, istituito nel 2004, ha segnato però la svolta e, per molti dei nostri vecchi, la consolazione prima di lasciare questo mondo. E infatti siamo qui, nell'alta sede del Parlamento italiano, alla presenza delle massime istituzioni. E in queste stesse ore in tutta Italia sono centinaia le città che celebrano il Ricordo, trasmettendo ai giovani la consapevolezza che ogni violenza, di qualsiasi colore, va rifiutata. Poche sacche di negazionismo, residuati di ideologie per fortuna al tramonto, provano ancora a giustificare gli eccidi dell'ex Jugoslavia, ma la legge del Ricordo, se fatta rispettare, tutela noi e il nostro desiderio di pace, convinti come siamo che se il perdono è sempre un auspicio, la memoria è un dovere, la via imprescindibile per la riconciliazione.

Concludo con le parole del biglietto che Nadilla, la bambina fuggita nel '54 da Faiti, immaginò per il bambino straniero che il giorno dopo sarebbe entrato in casa sua: "Io sono dovuta andare via da qui - gli ha scritto - perché non mi hanno lasciato restare solo per un mio piccolo difetto: sono italiana. Non so se è giusto quello che stanno confabulando i grandi. Io non ho paura degli slavi, non ho paura di un bambino piccolo come te. Ma tu, ti prego, cerca di cambiare il mondo. Ti voglio bene. Bacia la mia cameretta per me".

Anche questa non è letteratura. È l'immagine di ciò che i giuliano-dalmati sono stati, il simbolo della mitezza con cui hanno sperimentato la persecuzione e lo sradicamento, eppure non hanno odiato.

In questo mondo violento e confuso il loro è un patrimonio sapienziale da cui attingere. Quando cerchiamo di costruire un futuro migliore, guardiamo a loro. Non sbaglieremo!

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