venerdì 14 maggio 2010
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La condivisione semplice, fatta dei piccoli gesti della vita quotidiana, rafforza l’integrazione, agevola il dialogo, supera ostacoli linguistici e barriere culturali. E così che a Mazara del Vallo, Sicilia occidentale, cinquantamila abitanti, da oltre trent´anni vive una folta comunità tunisina, si realizza, pezzo dopo pezzo, l’utopia dell’integrazione.Ben Hadada Alouane è musulmano: tutti lo chiamano Vito come il santo patrono della città. A Mazara è arrivato 36 anni fa, a soli 17 anni. Ha lavorato sodo, ora è capo-cantiere in una ditta che realizza prefabbricati. «Anche se non ho la cittadinanza io mi sento italiano, qui sono nati i miei figli, qui c´è la mia casa, quando torno in Tunisia mi sento un turista». Nel suo italiano da immigrato, impastato di parole arabe e dialetto siciliano, spiega la sua ricetta per l´integrazione: «Rispetto ed educazione: se segui sempre questi valori ti guadagni la stima degli altri». Per lui e la sua famiglia ha funzionato: per sua moglie Salua, arrivata da Madia 23 anni fa, la solitudine dovuta al distacco della famiglia è durata poco. «All´inizio è stata dura, non conoscevo nessuno e parlavo poco italiano ma poi abbiamo conosciuto le famiglie dei colleghi di Vito». La sua più cara amica si chiama Ignazina. È la moglie di Francesco, operaio nella stessa ditta del marito. Si esce insieme, si condividono le preoccupazioni, si mangia insieme. Ma per molte famiglie tunisine, quelle che si sono trasferite da pochi anni, la diffidenza è difficile da vincere. «La prima generazione arrivata in città sicuramente è rimasta impermeabile all´integrazione», spiega don Francesco Fiorino della Fondazione San Vito, l’ente della diocesi di Mazara che promuove progetti d’integrazione ormai da un decennio. Oggi molte famiglie tunisine hanno lasciato le abitazioni nella vecchia casbah, vivendo fianco a fianco con le famiglie mazaresi, i ragazzi spesso si frequentano senza badare alle differenze etniche». Proprio per favorire l’integrazione, un progetto della Fondazione San Vito un paio di anni fa ha puntato sulle donne, vero motore dell’integrazione fatta di rapporti di vicinanza e di condivisione attraverso il progetto "donne insieme". «All’inizio alcune mie amiche mi dicevano che non volevano partecipare a laboratori e gite con le donne tunisine per via di alcuni pregiudizi, poi l’esperienza è stata invece utile e arricchente per tutti». Salua da allora non manca al suo turno di volontariato per la mensa dei poveri. Ignazina ha allargato la sua cerchia di amiche tunisine a Ludmilla e ad un´altra donna anche lei di nome Salua. «L´altra ricetta per l’integrazione è fiducia e solidarietà - continua don Fiorino - le famiglie tunisine ormai si fidano di noi, ci affidano i loro figli per il dopo-scuola e per i laboratori senza temere che vogliamo cancellare le loro radici culturali. Fare uscire le donne, soprattutto le tunisine, dalle loro case, farle lavorare, cucinare insieme ad altre donne, fare conoscere loro il territorio è stata una scommessa importante. È cresciuta la stima e l´accoglienza reciproca». Fino a pochi anni fa era impensabile pensare ad una comitiva mista ma il prossimo giugno un gruppo di  adolescenti mazaresi e tunisini saranno in tournée in Romagna dove parteciperanno all’apertura delle manifestazioni del Ravenna Festival con uno spettacolo realizzato da loro, frutto del lavoro di laboratorio portato avanti nel "Villaggio della solidarietà".
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