martedì 21 febbraio 2017
Oggi la giornata nazionale. Ad inventare l'alfabeto, ormai quasi 200 anni fa, un sedicenne francese, Louis Braille, che aveva perso la vista a 3 anni
L'alfabeto che fa leggere 30 milioni di non vedenti
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Non è un caso che per celebrare la Giornata nazionale del Braille – istituita con una legge approvata il 3 agosto 2007 – sia stata scelta come data il 21 febbraio. Quello stesso giorno l’Unesco lo dedica alla difesa dell’identità linguistica. Di fatto il braille, a quasi duecento anni dalla sua invenzione, resta il sistema elettivo con cui trenta milioni di ciechi in tutto il mondo riescono ad avere accesso al patrimonio culturale scritto dell’umanità: sono 800 i dialetti e le lingue che utilizzano per la comunicazione scritta questo metodo, che è a tutt’oggi lo strumento che più di ogni altro contribuisce all’emancipazione e all’indipendenza dei non vedenti. Insuperato sul piano pratico, l’alfabeto in rilievo è riuscito persino a emanciparsi adattandosi alla tecnologia che avanza: dal braille letterario a sei punti si è passati a quello informatico a otto. Se il primo dà vita a 64 combinazioni per rappresentare lettere, numeri e simboli, il secondo quelle combinazioni le ha portate a 256, in perfetta corrispondenza con il numero di caratteri del codice ASCII, consentendo ai non vedenti di leggere e navigare lo schermo di un computer.


Per scrivere in braille bastano un punteruolo e una tavoletta, che è un piano di scrittura con solchi orizzontali paralleli e una griglia sovrapposta con tante finestrine allineate. Anche un cieco può avere una bella calligrafia oppure una zampa di gallina: la scrittura manuale su tavoletta presuppone il mantenimento verticale del punteruolo e la punzonatura dei punti il più vicino possibile ai bordi delle finestrelle della griglia.

Molto più comoda e veloce è la macchina dattilobraille a 6 tasti, la cui diffusione è stata fondamentale: la scrittura risulta chiara, precisa e leggibile da tutti. Esistono anche stampanti elettromeccaniche che consentono la scrittura direttamente da pc ma sono ancora molto costose e delicate, difficilmente un privato può permettersene una. Insostituibile, il braille ha però un inconveniente non da poco: le pagine sono voluminose, e un libro scritto con l’alfabeto tradizionale si trasforma in diversi volumi di grandi proporzioni una volta che il testo viene tradotto per essere letto con le dita. Colpa della maggior superficie occupata dai caratteri tattili: cento caratteri braille occupano in media 63 centimetri quadrati, contro i 7 centimetri quadrati occupati da altrettante lettere a stampa in nero. Anche le pagine hanno – giocoforza – uno spessore consistente che aumenta ulteriormente per effetto della sporgenza dei punti in rilievo.


Se oggi trenta milioni di ciechi hanno a disposizione questo inossidabile sistema di scrittura e lettura è merito del genio di Louis Braille. Nato non lontano da Parigi, a Coupray, il 4 gennaio 1809 Louis diventò cieco a soli tre anni: giocando nel laboratorio dove il padre svolgeva la sua attività di sellaio, si ferì a un occhio e ben presto l’infezione si estese rapidamente anche all’altro, portandolo in meno di un anno alla cecità totale. A dieci anni, Braille fu accettato come studente dall’Istituto Reale per i giovani ciechi di Parigi. Fu lì che il giovane ebbe modo di incontrare l’ex ufficiale di artiglieria Charles Barbier de La Serre e la sua “scrittura notturna”. Si trattava di un sistema di scrittura costituito da punti in rilievo che doveva consentire ai militari – nelle intenzioni di Barbier – di leggere al buio per non essere individuati dai nemici. Sebbene il metodo fosse macchinoso e poco pratico, Braille ne fu entusiasta intuendone da subito le possibilità: nel 1825, a soli 16 anni, aveva messo a punto compiutamente l’alfabeto che prenderà il suo nome e pochi anni più tardi, nel 1829, dava alle stampe “Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro”.

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