domenica 15 maggio 2016
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Era andato nella Repubblica ceca per un dottorato in biologia molecolare all’Università di Brno. È tornato nel suo paesino della Calabria portando, oltre al titolo di studio, anche la sua nuova famiglia. Hana, la donna della sua vita, e Giorgio, il piccolo nato dalla loro relazione nell’agosto del 2014. Al bambino viene assegnata la doppia nazionalità, italiana e ceca. Tutto sembra andare per il meglio. Dopo circa un anno di permanenza nel Paese dell’Europa centrale, Andrea Tripepi e Hana Matouskova decidono di tornare in Italia. Lui ha l’opportunità di avviare una collaborazione scientifica proprio nell’ambito della sua specializzazione. Un’occasione da non perdere. In breve però Hana è assalita dalla nostalgia. Il rapporto con Andrea comincia a diventare difficoltoso. L’accudimento del bambino è il principale motivo di discussione. Lei teme che diventi obeso e dimezza regolarmente le razioni. Il piccolo cresce con troppa lentezza. Si va avanti così per qualche tempo, danzando sul baratro dell’incomprensione. Quando, all’inizio di giugno 2015, lei chiede la possibilità di tornare per un breve periodo in patria perché – sostiene – ha intenzione di sostenere un esame per la riammissione all’università, lui un po’ a malincuore acconsente. «Torno tra pochissimi giorni», promette. Ma passa il tempo e Hana fa perdere ogni traccia. Non solo, il 24 giugno chiede al giudice di Karlovy Vary (Repubblica ceca) l’affido esclusivo del bambino. Cinque giorni dopo comunica via Facebook: «Non tornerò più in Italia». Preghiere, proteste, tensioni, scambi di accuse. «Avevo già capito che tra me e Hana tutto sarebbe finito, ma quel suo annuncio mi ha fatto temere per il futuro di mio figlio. Rischiavo di non vederlo più. E allora ho denunciato la mia ex per sequestro di minore e per maltrattamenti». Ad agosto, di fronte alla volontà di Hana di non recedere dalla sua decisione, Andrea va nella Repubblica ceca accompagnato dalla sorella e dal cognato. Prendono visione delle cartelle cliniche e scoprono che il bambino in tutto quel tempo non è aumentato neppure di un gram- mo. Anzi, il medico del locale ospedale, annota: «La mamma si comporta stranamente e dà per cena soltanto banane e biscotti». La donna accetta comunque di tornare in Italia con il piccolo. Il 24 agosto 2015 il Tribunale dei minorenni emette un provvedimento d’urgenza in cui dispone che il bambino sia affidato ai Servizi sociali, collocandolo, però, a casa del padre. Ma il giorno dopo il tribunale ceco rovescia il provvedimento e lo affida alla madre. La sentenza italiana parla dei maltrattamenti inflitti dalla madre, confermati anche da una visita neuropsichiatrica che riprende le annotazioni già espresse dall’ospedale ceco. Ma lei non ci sta, presenta un nuovo ricorso e il 25 settembre il tribunale italiano le dà ragione. Il bambino deve tornare subito con la madre. Analogo provvedimento viene emesso nella Repubblica ceca. Come mai un cambio di prospettive così repentino? Simone non ha dubbi: «L’intervento del console della Repubblica ceca è stato decisivo per convincere le nostre autorità». Ma come può un rappresentante diplomatico cambiare le sorti di una decisione giudiziaria che non dipende – o non dovrebbe dipendere – da valutazioni politiche, ma da norme obiettive? Con questo interrogativo si arriva alla decisione della Corte d’appello chiamata a decidere sui ricorsi contrapposti. La sentenza, di pochi giorni fa, va totalmente a favore della madre. I motivi? Visto che il minore – secondo il tribunale – risiede prevalentemente nella Repubblica ceca e che il giudice di quel Paese si è già espresso a sostegno delle ragioni di Hana, il tribunale italiano per rispetto del diritto comunitario non può che confermare quel giudizio. A suffragare la decisione – si legge nella sentenza – c’è la Convenzione dell’Aja. Ma le accuse di sottrazione di minori e i documenti medici in cui si certifica il maltrattamento da parte della madre? «Arrivati dopo il deposito della sentenza», spiega il tribunale. «Non mi resta che il ricorso in Cassazione – conclude Andrea Tripepi – e questa volta presenterò tutte le prove in mio possesso, comprese alcune registrazioni di cui ora preferisco non parlare». Luciano Moia © RIPRODUZIONE RISERVATA
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