giovedì 24 ottobre 2013
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​Dino Piero Giarda conosce molto bene le problematiche che rallentano il processo decisionale in Italia. Professore di Economia e di Scienza delle Finanze alla Cattolica di Milano, ha al suo attivo una lunga permanenza da tecnico al governo. Durante il governo Monti è stato ministro dei Rapporti con il Parlamento, incaricato dell’attuazione del programma, nonché responsabile della spending review. Ecco le sue valutazioni.Professore, 2/3 dei provvedimenti del governo Monti sono ancora in attesa di decreti attuativi o dei regolamenti. Qual è la causa di questo fenomeno?Succede spesso, da parte di tutti i governi, che una buona idea legislativa rimandi ad atti successivi le modalità pratiche della sua attuazione. Per esempio molti provvedimenti che destinano benefici o agevolazioni a particolari categorie di cittadini identificate nella legge in termini generici. Questa genericità è voluta da governo e Parlamento per risolvere diversità di punti di vista su chi esattamente deve utilizzare le provvidenza della legge. Quindi, le scelte che la legge dovrebbe fare sono rinviate e affidate ad una fase negoziale successiva all’approvazione che richiede tempi e discussioni per essere attuata.La sua esperienza in questo senso nel governo Monti?Nei primi otto mesi ci siamo dovuti dedicare a dare attuazione ai provvedimenti legislativi approvati dal Parlamento nel 2010 e 2011, vigente il governo Berlusconi. Si fanno, tutti fanno, molte leggi che devono essere attuate: i provvedimenti attuativi si sgranano nel tempo soprattutto perché le amministrazioni sono occupate a dare attuazione ai provvedimenti dei governi precedenti. In quegli stessi primi otto mesi, il governo Monti ha adottato provvedimenti attuativi di leggi approvate nel 2007-2008 dal secondo governo Prodi. Abbiamo persino trovato sulla Gazzetta Ufficiale nel 1° semestre 2012 un provvedimento attuativo di una legge approvata nel 2000, dal governo D’Alema!Di chi è la colpa di questi ritardi endemici?Delle leggi che non indicano in modo certo i soggetti toccati dalla norma, rinviandone l’individuazione a regolamenti attuativi; dei ministri che non hanno saputo o potuto risolvere i problemi durante l’approvazione della legge o del decreto; dell’amministrazione che, tendenzialmente, considera male le novità delle leggi; dei ministri che spesso, nella preparazione dei disegni di legge, scavalcano le strutture ministeriali. E la spending rewiev che fine ha fatto?Gli interventi sulla spesa sono stati fatti, tanto è vero che la spesa in termini monetari (a prezzi correnti) negli ultimi due anni è diminuita. Gli interventi attuati già nella seconda parte del governo Berlusconi (2010-2011) sono stati robusti. Si poteva fare di più e meglio? Certamente sì, ma le azioni in profondità sulla spesa richiedono tempo: si tratta di riorganizzare la produzione dei servizi e rideterminare i beneficiari dell’intervento pubblico, due azioni a forte contenuto politico. Il programma di spending review deve passare attraverso anche diversi governi, ma in Italia – a parte la diversità di opinioni politiche – sembra che i governi che si succedono non riescono a prendere vantaggio di quello che hanno fatto i governi precedenti. A partire dal 2001 è tutta una successione di fare e disfare da parte dei diversi governi. Come si riorganizza una grande azienda come lo Stato se non c’è una strategia condivisa e si discute solo per slogan?In che misura la burocrazia rappresenta un freno alla politica?Non c’è nulla che le burocrazie possono fare, nel senso di ostacolare l’avvio di una buona legge, se i ministri si occupano del loro ministero. Un ministro che si occupa, legge le carte, discute con il suo capo di gabinetto e i suoi capi di dipartimento, non ha problemi a costruire un buon provvedimento di legge o a dare rapidamente attuazione a leggi approvate dal Parlamento. È necessario per tutti impostare correttamente le questioni da affrontare; senza pensare di voler cambiare il mondo con un articolo di un decreto-legge, una tentazione alla quale spesso indulgono i ministri dei diversi governi.Che giudizio dà della burocrazia italiana?La pubblica amministrazione italiana è molto diversificata al proprio interno. In un singolo ministero si trovano i migliori burocrati che lavorano fianco a fianco con sfaticati. Il risultato finale è a volte scoraggiante. È come se provenissero da percorsi formativi molto diversi, con motivazioni e aspettative molto diversi. È per usare una espressione colorita, una sorta di giungla. Si trovano coscienze integerrime a fianco di mentalità opportunistiche, come se la struttura operativa fosse stata costruita senza regole. Ci sono funzionari e dirigenti disposti ad aiutare i ministri e i politici a dare concretezza alle proprie idee; altri che oppongono obiezioni di natura solo formale. Insomma, un mondo complesso che riserva, giorno dopo giorno, sorprese positive e disappunti.
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