lunedì 30 agosto 2021
Commosso omaggio al giovane pugile Leone ucciso durante una banale rissa. La riflessione: occorre scendere in campo insieme, oratori e famiglie, scuola e influencer, servizi sociali e politica...
Gennaro, 18 anni, pugnalato a morte. Ma ai giovani cosa possiamo offrire?

Ansa

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Due guantoni da pugile, una maglia nera con la scritta "Energy Boxe Caserta", fiori, lumini e soprattutto tanti cittadini, tra adulti, adolescenti e bambini. È un vero e proprio pellegrinaggio quello che sta avvenendo a Caserta, in piazza Correra, nel punto dove è stato accoltellato il 18enne Gennaro Leone, morto in ospedale tre ore dopo il ferimento per la forte perdita di sangue.

Gennaro Leone, promessa del pugilato, diciottenne, è morto a Caserta alle prime luci dell’alba di domenica scorsa. Stroncato da una coltellata.

L’assassino? Un suo coetaneo di Caivano, un giovane che, come tanti, per divertirsi corre verso la città. Divertirsi dovrebbe voler dire stare bene con se stesso e con gli altri; riposare il corpo, rilassare la mente; fare nuove amicizie, scambiarsi esperienze; chiacchierare, mangiare qualcosa insieme. Il giovane di Caivano, però, prima di uscire di casa ha messo in tasca un coltello a serramanico. Perché? Per difendersi da chi? E accade l’assurdo.

Scoppia un litigio. Può accadere, non è l’ottimo, ma può accadere un litigio tra giovani cui mettere fine quanto prima. Gli “amici” dovrebbero servire anche a questo: separare i contendenti, trascinarli via. Non sempre accade. Al contrario, qualcuno, pur senza volerlo, pensando di dover essere solidale con chi si sta azzuffando, gli dà manforte. Quel che si fa fatica a capire è la rabbia, l’odio, la violenza, il bisogno di considerare nemici ragazzi della stessa età, che, magari, nemmeno si conoscono. Nelle mani del caivanese compare il coltello. Punta alla coscia. Forse qualcuno gli avrà detto che in quella zona del corpo può colpire senza mettere a repentaglio la vita dell’avversario.

Non sa che da quelle parti passa l’arteria femorale. E la prende in pieno. Trasportato in ospedale, Gennaro, muore. E con lui “muoiono” i genitori, i fratelli, i nonni, gli amici e chi, nonostante tutto, si ostina a credere che dietro la scorza di tanta stupida e feroce immaturità c’è sempre un uomo con la sua dignità. Ho letto e condiviso le dichiarazioni di alcuni parroci del Casertano. Allibiti e addolorati, si chiedono cosa fare per andare incontro ai giovani che fino a pochi anni prima affollavano i primi banchi delle chiese. Gennaro era stato uno scout. Qualcuno propone di tenere aperti gli oratori anche di notte. Potrebbe essere un’idea, una proposta da vagliare.

Certo, qualche risultato si otterrebbe, ma non credo che da soli potremmo incidere più di tanto. L’età dell’adolescenza e della prima giovinezza sono una straordinaria ricchezza ma, mai come in questo tempo, anche un problema da affrontare con serietà, impegno, competenze e tanto amore. Occorre scendere in campo insieme. In una sorta di alleanza senza barriere, senza colori, senza ideologie. Non più rivali, “l’un contro l’altro armato” ma amici, squadra, per il vero bene dei ragazzi. Famiglia, scuola, chiesa; influencer, forze dell’ordine, servizi sociali, politica locale e nazionale. Bisogna avere l’umiltà di ammettere che la ricetta magica non la possiede nessuno, ma tutti hanno qualcosa da dare e il dovere di non tirarsi indietro.

Chi, in un modo o in un altro, sa di esercitare un fascino sui giovani deve avere il coraggio di pesare parole, controllare video e scatti d’ira, evitando di fare ricorso a offese e sciocche invettive contro chi la pensa diversamente da lui. Ogni adulto veramente tale deve essere d’esempio. Si ragiona con la mente non con la pancia. Stare insieme senza fare e farsi male non è automatico. S’ impara. Credo che l’ orribile morte di Gennaro ci costringe - tutti - a un serio e doloroso esame di coscienza. Senza complessi e senza ipocrisie.

È triste che tanti giovani, per divertirsi, hanno bisogno di alcol e droghe, che mentre li rendono più vulnerabili e irresponsabili, li convincono di essere più forti e interessanti. Ma è anche penoso costatare che non sempre i controlli nei luoghi in cui i giovani amano riunirsi sono all’altezza della situazione. Ai tanti genitori con cui domenica, dopo la Messa, abbiamo commentato il fatto di sangue e che, angosciati, si chiedevano che cosa fare per i loro figli, ho solamente potuto consigliare di non cedere allo scoraggiamento e ai sensi di colpa. Purtroppo non sono pochi i ragazzi che, convincendosi di essere liberi, vanno a cadere nelle trappole che il mondo virtuale e gente senza scrupolo tendono loro. Da solo nessuno andrà lontano. Solamente mettendo insieme ruoli, esperienze, competenze, buona volontà e – ripeto – tanto amore, possiamo sperare di accompagnare ed educare i nostri ragazzi in questo tratto della loro vita bello e problematico. Anche quando sembra che non ne vogliono sapere.

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