giovedì 24 giugno 2021
Genet, Ashin e Amina, i loro volti felici e le loro attese: i bimbi potranno andare a scuola mentre tra gli adulti alcuni sono diplomati e altri sono laureati
Otto diocesi in campo per accogliere i profughi

Ansa

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Sono momenti indimenticabili, «si concretizzano mesi di lavoro, di dialoghi, di ricerche per i giusti abbinamenti ».

È entusiasta Federica Ricci, una dei tutor di Caritas che segue le diocesi nella preparazione all’accoglienza delle persone. Diocesi accoglienti che per questo corridoio sono otto, da Nord a Sud: Crema (dove saranno seguiti da padre Maccalli, liberato nell’ottobre 2020 dal rapimento proprio in Niger), Fiesole, Bolzano, Rimini, Roma, Teggiano Policastro, Assisi, Matera, più una struttura di Diaconia Valdese a Torino.

Pronte ad accogliere otto nuclei familiari e sette singoli, di varie età: la più piccola ha meno di un mese di vita ed è la quarta figlia di una coppia nigeriana scappata dalle violenze di Boko Haram, il più grande ha 40 anni ed è un padre di famiglia sudanese che ha vissuto in Darfur prima di fuggire a causa della guerra civile. Le altre nazionalità sono Etiopia, Somalia, Rca, Ciad, Mali, Costa d’Avorio, Camerun, Eritrea. «La maggior parte di loro ha subìto violenze e torture, spesso in Libia, dove sono stati detenuti per mesi o anni prima di riuscire a scappare verso il Niger o a essere evacuati dall’Unhcr», spiega Giovanna Corbatto, coordinatrice nazionale del programma dei corridoi di Caritas.

Per questo ogni diocesi coinvolta ha nel proprio staff almeno una figura di sostegno a vittime di abusi. Il Niger è stato una tappa importante per tutti: storico crocevia migratorio, oggi è diventato un luogo di preselezione in cui Unhcr, negli ultimi anni guidata da Alessandra Morelli (presente a Fiumicino anche perché questo corridoio suggella la fine di mandato nigerino e carriera istituzionale), tutela i profughi provenienti dai pericolosi Paesi circostanti.

Genet, 23enne eritrea è stata segregata dai trafficanti per mesi come contropartita per non avere con sé i soldi del viaggio: ora ha problemi ai reni e difficoltà a camminare. «Ma voglio lasciare tutto alle spalle, non vedo l’ora di imparare l’italiano, capire qual è la professione a cui posso puntare e iniziare così una nuova vita», ci racconta con una determinazione sorprendente.

Non è l’unica a volere dimenticare in fretta le malvagità subite: scappati da violenze di estremisti, abbandonati nel deserto dopo avere dato tutti i soldi ai passeur, oppure sopravvissuti a un naufragio ma riportati in Libia dalla Guardia costiera libica - in base agli accordi con Italia e Unione europea - e qui di nuovo finiti in mani criminali. «Molti di loro sono ancora turbati dal passato, ma decisi ad andare avanti. Lanciano un messaggio chiaro: è il tempo del coraggio », aggiunge Alessandra Boca, tutor e avvocato di Caritas, mentre i nuovi arrivati aspettano con pazienza il proprio turno per tampone – tutti negativi – fotosegnalamento e richiesta di asilo politico.

«Aspettavo questo momento da mesi, ora ho la certezza che i miei figli andranno a scuola e questo mi riempie di gioia», rimarca rimarca Hashim, 35 anni, padre di due bimbi di 5 e 2 anni (e un terzo in arrivo) che corrono senza tregua per tutto il gate. L’uomo è tutt’altra persona da quando era stato intercettato in Niger a gennaio 2021, dai selezionatori Caritas in loco: allora era scosso dal trauma per avere visto la propria moglie abusata da aguzzini in Libia e non avere potuto fare nulla. «Ora ho di nuovo speranza», dice. Poco più distante, Ousmane, 47enne maliano – perseguitato dagli integralisti in patria per il suo lavoro nel turismo – chiama a raccolta i quattro figli: «ascoltate le regole che ci sono in Italia, dobbiamo inserirci bene».

L’operatore della diocesi che li ospiterà annuisce: «ci sono tanti volontari pronti ad accoglierli, siamo pronti». Nel frattempo, a poco meno di sei ore dall’arrivo, ecco il momento tanto atteso: documenti alla mano e bagagli recuperati, si esce dall’aeroporto. 'Italia', sussurra a bocca aperta aperta Amina, 8 anni, sudanese. Il nuovo inizio è un viaggio in treno o in pullmino con i referenti di ciascuna diocesi «verso un posto che potremo chiamare casa, dopo tanti anni di vita sospesa», è lo sfogo di Ashaf, donna e madre 37enne. Che sorride, senza nascondere gli occhi lucidi.

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