sabato 31 ottobre 2015
Al cartello Re.a.dy aderiscono 60 enti locali: progetti ispirati alle terorie Lgbt. Ultima battaglia in Puglia: «Famiglia assediata»
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«Il gender non esiste. Le cosiddette teorie Lgbt sono un’invenzione omofoba». Lo strillano da tempo proprio coloro che, negando la centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, sostengono la necessità di aprire la strada al riconoscimento delle nozze gay, adozioni comprese. Noi che omofobi non siamo e che anzi, sulla scia anche di quanto esplicitato pochi giorni fa nella Relazione finale del Sinodo sulla famiglia, pur essendo convinti che «ogni persona, indipendentemente dalla propria tendenza sessuale, vada rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni 'marchio di ingiusta discriminazione' », sappiamo che il gender è una realtà complessa e preoccupante. Teorie cioè che non solo esistono e procurano gravi danni da almeno un ventennio ma che, in Italia, dispongono anche di una rete ben presente nelle amministrazioni locali. Si chiama 'Re.a.dy' è nata a Torino nel 2006 e, come spieghiamo qui a fianco, promuove in varie forme la cultura gender, quell’insieme di convinzioni che vorrebbero cioè negare il valore della differenza sessuale e – come dice ancora la Relazione finale del Sinodo – «svuotare la base antropologica della famiglia», sollecitando «progetti educativi e orientamenti legislativi» orientati a questo obiettivi. Non si tratta di un pericolo ipotetico. La rete 'Re.a.dy.', finalizzata tra l’altro all’attivazione e alla realizzazione dei programmi Unar, continua a fare proseliti. L’altro ieri vi ha aderito la Regione Puglia. «La situazione della maggior parte delle famiglie della nostra regione – osserva la presidente del Forum regionale pugliese, Ludovica Carli – è sotto gli occhi di tutti. Crisi demografica, emigrazione, disoccupazione, crollo dei redditi, mancanza della prima casa, usura e gioco d’azzardo sono emergenze quotidiane. Eppure la Regione – fa notare – ha scelto la propaganda, approvando l’adesione a una rete che non ha niente a che fare con la lotta all’omofobia, questione che naturalmente sta a cuore anche al Forum delle associazioni familiari». Perché, come fa ribadisce Carli, ginecologa, esperta di temi educativi legati all’affettività e alla sessualità, la discriminazione nei confronti delle persone Lgbt in questo caso non c’entra nulla. Un conto è combattere l’omofobia – obiettivo che trova il mondo cattolico in primo piano – un altro è favorire la diffusione di programmi educativi ispirati alle cosiddette teorie del gender. Un’impostazione che si sta facendo largo nel sistema educativo, attraverso iniziative e corsi apparentemente finalizzati al contrasto del bullismo omofobo. «Perché non va bene? – si domanda la presidente del Forum pugliese – Non perché siamo contro le persone omosessuali, ma perché questa ideologia con la sua pervasività, destruttura il mondo dei sentimenti e dell’identità, quello delle relazioni affettive e sessuali, fino alla decostruzione della famiglia, intesa come unione stabile tra un uomo e una donna, aperta alla generazione». Al di là del preoccupante dato culturale, il Forum contesta anche la scelta politica da parte di consiglieri e assessori che, solo pochi mesi fa, avevano sottoscritto il manifesto 'Per una regione a misura di famiglia', promosso dallo stesso Forum. Possibile che a così breve distanza di tempo gli stessi politici non abbiano avvertito la contraddittorietà della scelta? Un pericolo che invece aveva ben colto lo scorso anno Massimiliano Salini, oggi europarlamentare Fi, dal 2009 al 2014 presidente della Provincia di Cremona. «Quando ho scoperto che la giunta precedente aveva aderito alla 'rete Re.a.dy', ho portato il caso in giunta e ho fatto votare la cancellazione. Mi è sembrato inopportuno sostenere una realtà che promuove un’idea di famiglia contraria alla Costituzione e alle nostre convinzioni». Il problema dovrà quanto prima essere portato anche all’attenzione della Regione Liguria che soltanto l’altro ieri, con 16 voti favorevoli della maggioranza di centrodestra e 14 contrari, ha detto no all’introduzione del gender nei programmi educativi, con un documento in cui si chiede che «nelle scuole di ogni livello e grado non venga introdotta la 'teoria del gender' e venga rispettato il ruolo della famiglia nell’educazione all’affettività e alla sessualità». Richiesta ineccepibile. Peccato che la Regione Liguria – con Piemonte, Toscana. Lazio, Emilia Romagna, Basilicata, Campania, Marche e appunto Puglia – aderisca alla 'rete Re.a.dy'. Anche a Genova ignorano di essere inseriti tra gli enti locali promotori della rete gender? 
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