martedì 19 febbraio 2013
Gli imputati imponevano fino a 1.500 euro al mese agli operatori turistici di Vieste. Il Viminale ha ammesso come parte civile con le associazioni e il Comune.
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​Non si chiamerà mafia, camorra, ’ndrangheta o Sacra corona, ma le vittime del crimine organizzato non saranno lasciate sole, comunque. Da Foggia arriva un segnale forte. I cittadini che si ribellano al racket anche in territori ritenuti - a torto - non ancora contaminati, troveranno le istituzioni dello Stato e le associazioni al loro fianco.Nel processo per le estorsioni agli operatori turistici di Vieste, perla del Gargano, che vede alla sbarra il clan locale guidato da Angelo Notarangelo, agli arresti dal luglio scorso, sono stati ammessi ieri come parte civile il Viminale, il commissariato anti-racket, il Fai (la federazione che raggruppa le associazioni anti-racket) e lo stesso comune di Vieste.A rafforzare questa vicinanza, affiancando l’avvocatura dello Stato tecnicamente deputata a formalizzare la richiesta, la presenza in aula del sottosegretario all’Interno Carlo De Stefano, del commissario anti-racket, prefetto Elisabetta Belgiorno, e del presidente onorario del Fai Tano Grasso, da oltre 20 anni al fianco degli imprenditori che denunciano, da ex leader dei commerciati di Capo d’Orlando. Sono bastati pochi minuti al presidente della seconda sezione penale del tribunale di Foggia, Carlo Protano, per respingere tutte le istanze opposte dall’agguerrito collegio difensivo degli imputati contro le costituzioni di parte civile. «Solo pochi episodi». «Nessun controllo del territorio». «Nessuna affiliazione alle organizzazioni criminali». Argomenti che, creando un importante precedente, sono stati ritenuti «non pertinenti» attestando che l’aggravante mafiosa è «contestabile in base alla modalità criminosa, non all’appartenenza o meno a un’associazione criminale».Tutti presenti, ieri, gli imputati: Girolamo Perna, Giuseppe e Luigi Notarangelo (il quale al termine dell’udienza ha accusato un malore a causa di una patologia di cui soffre ed è stato autorizzato al ricovero sotto scorta agli Ospedali riuniti di Foggia), rispettivamente fratello e cugino di Angelo, capo appena 36enne dell’organizzazione, il temuto «Cintaridd».Seduto al fianco di Grasso, Giuseppe Mascia, presidente dell’associazione degli operatori turistici di Vieste ribellatisi al racket, ha incassato questo primo successo senza scomporsi neanche di fronte alla più pretestuosa eccezione della difesa degli imputati che contestava l’istanza della sua associazione per il fatto che essa si è costituita nell’inverno 2009, dopo i fatti contestati. Come se si possa pensare di mettere in piedi un’associazione anti-racket prima ancora che le minacce vengano portate. Nel luglio 2009, in un’escalation di avvertimenti il clan, davanti al villaggio turistico di cui Mascia è titolare, fece esplodere, dandolo alle fiamme, un furgoncino navetta rubato a uno degli albergatori che si rifiutava di pagare il pizzo. Un modo per danneggiare in un colpo solo, oltre allo stesso Mascia, anche l’altro imprenditore che si ribellava, creando per di più terrore fra i villeggianti che, all’inizio dell’alta stagione, già riempivano la struttura. Doveva essere l’episodio eclatante per piegare le ultime resistenze e invece è stato quello che ha accelerato la presa di coscienza collettiva.Emblematica anche la modalità operativa di questo giovane gruppo criminale. Non c’è il solito emissario che porta la richiesta. «In paese sapevano tutti, una volta vittima di episodi minacciosi, a chi rivolgersi per mettere a posto tutto. E quindi loro ti proponevano una sorta di guardiania, al costo di 1.000-1.500 euro al mese, a seconda del volume di affari». Così in un contesto piccolo il clan ha potuto persino evitare di sporcarsi le mani essendo raggiunto dalle vittime stesse con la proposta di «collaborazione». E questo rende più impegnativo il compito dell’accusa rappresentata dal pm Giuseppe Gatti. «In tanti a Vieste ancora non credono che questa battaglia può essere vinta – spiega Mascia –. Tutto dipenderà dagli esiti di questo processo».
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