sabato 11 giugno 2016
​L’8xmille che gli italiani destinano alla Chiesa cattolica non serve per «incenso e candele». Il segretario generale della Cei ha risposto così alle polemiche sui fondi ripartiti con le “firme” sulle dichiarazioni dei redditi.
Galantino: 8xmille per formazione e sviluppo
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L’8xmille che gli italiani destinano alla Chiesa cattolica non serve per «incenso e candele». Il segretario generale della Cei, il vescovo Nunzio Galantino, sceglie la Cittadella della pace di Rondine, alle porte di Arezzo, per rispondere alle polemiche che, come ritornelli ossessivi, si ripresentano di tanto in tanto tirando in ballo i fondi ripartiti con le “firme” sulle dichiarazioni dei redditi. Prima nel municipio di Arezzo, di fronte a studenti ed ex studenti di venti Paesi in guerra che sono passati dalla “scuola” di Rondine, e poi nel teatro-tenda del borgo medievale con i liceali di tutta Italia che hanno trascorso un anno nella Cittadella della pace, Galantino spiega che «fra le attività su cui investe la Chiesa italiana c’è la formazione», come testimonia il sostegno anche economico all’esperienza di Rondine che viene finanziata con le risorse tratte dal capitolo “Culto e pastorale”. Non solo. La Cei – aggiunge il segretario generale – utilizza l’8xmille per realizzare «723 progetti di sviluppo nel Sud del mondo promuovendo in loco le popolazioni» e, sempre grazie all’8xmille, ha «926 cantieri di edilizia di culto aperti in Italia che consentono di dare lavoro a tante famiglie e che aiutano le parrocchie a essere in molte zone della Penisola l’unico presidio aperto sul territorio». Perché, aggiunge Galantino, apprezzare un’iniziativa significa «metterci del proprio sopra».

 

Nella Cittadella della pace arriva da Galantino anche un “no” agli «atteggiamenti di chiusura» verso l’altro di «certe nazioni e di alcuni movimenti politici italiani». Del resto, prosegue il presule, Rondine insegna proprio che occorre scommettere sulla «reciprocità» e non arroccarsi nell’«arroganza». Qui la Cei finanzia anche cinque borse di studio per altrettanti studenti italiani che con 24 altri compagni giunti da ogni regione della Paese hanno frequentato il quarto anno delle superiori nella Cittadella toscana. E a Rondine, oltre a seguire le lezioni, hanno messo a punto una serie di progetti di ricaduta sociale che porteranno nelle loro città d’origine. Ad esempio la palermitana Jenny Galati ha ideato Prendere il volo, un itinerario fra legalità, bene comune e cultura digitale che declinerà nel quartiere di Brancaccio, «culla della mafia», come lo definisce, sui passi di don Pino Puglisi. Elisa Belfiore di Cuneo si propone di valorizzare le peculiarità culturali di immigrati ed emigranti con Rotte comuni, mentre Costantino Landi di Avellino sogna di combattere la paura di «non sapere che cosa mangio» nella Terra dei fuochi con campagne di sensibilizzazione su inquinamento selvaggio e danni ambientali. O ancora Roberto Jiang e Benedetta Scrima di Prato vogliono con Un passo verso di te abbattere i pregiudizi in una città come la loro «piena di etnie ma non integrate».

 

Il saluto ai liceali e la consegna delle “Rondini d’oro” ai ragazzi dello Studentato internazionale che hanno terminato il loro percorso universitario qui hanno chiuso sabato le tre giornate del Festival “YouTopic Fest” organizzato dalla Cittadella della pace per raccontarsi e riunire chi è passato da questo angolo di Toscana. Venerdì il momento centrale è stato l’incontro fra le tre grandi fedi monoteiste. Cinque minuti di preghiera. Chi con la Bibbia aperta, chi con la Torah, chi con il Corano. Cinque minuti sussurrati in tre tende, una accanto all’altra, diventate chiesa, sinagoga e moschea. Nelle mani un ramoscello di olivo: lo stesso per cristiani, ebrei, musulmani, non credenti. Ecco l’”abbraccio interreligioso” che prende il nome dall’istallazione in grado di ospitare i luoghi di culto delle grandi fedi monoteiste ma che si trasforma in gesto concreto fra i rappresentanti delle tre religioni e fra studenti ed ex studenti di di Rondine.

 

Mentre si prega per una “nuova civiltà”, viene in mente che in questo ex castello il nome di Dio è pace. «Operare insieme è la strada maestra per dare al dialogo una vera consistenza», spiega Galantino, ospite dell’appuntamento. Poi sottolinea lo specifico cristiano. «Gesù crocifisso e risorto ci dà una lettura bella, chiara e coinvolgente della storia dell’umanità. E chiede di metterci in gioco, come ha fatto Lui stesso, condividendo gioie e dolori di tutti». Quindi un riferimento alle tragedie delle migrazioni. «Non possiamo dimenticare le sofferenze dei nostri fratelli e delle nostre sorelle che perdono la vita nei viaggi attraverso il Mediterraneo».

 

Al suo fianco c’è l’imam di Firenze e presidente dell’Unione delle comunità islamiche d’Italia, Izzeddin Elzir. «Abbiamo un unico Creatore e apparteniamo alla stessa famiglia umana. La diversità non può essere motivo di scontro, ma è una ricchezza. Se i credenti entrano in conflitto, è per ignoranza». Concorda il ministero dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, che chiede «abbracci e non muri» e indica nella salvaguardia del pianeta uno dei temi di incontro fra gli uomini di buona volontà». Il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, traduce la Parola “Non uccidere” nell’invito a «guardare gli occhi dell’altro in cui brilla la presenza divina». E allora, precisa, «se ciascuno di noi ha in sé una dimensione sacra, la vita non può essere violata».

 

La «guerra mondiale a pezzi» denunciata da Papa Francesco si tocca con mano in questo minuscolo paese della Toscana affacciato sull’Arno, a dieci chilometri da Arezzo, che sembra racchiudere le contraddizioni e le ferite che dividono i popoli. Qui c’è un frammento del conflitto fra Israele e Palestrina; qui si avverte l’eco dei combattimenti che hanno insanguinato l’ex Jugoslavia; qui si percepiscono i rancori disseminati nel Caucaso. «Ci sono parole che da bambina ho imparato troppo presto: coprifuoco, coloni, occupazione – racconta la 25enne palestinese Lina –. Vedo ancora i check-point che dovevo attraversare per andare a lavoro o il muro dell’apartheid». Envera è bosniaca e ha 24 anni. «Nel mio Paese la storia non è narrata dai musei ma dai cimiteri. Tanti. Avevo 14 anni quando sono andata per la prima volta in uno di questi luoghi. Era una gita scolastica. Ci hanno portato a Srebrenica, la città della strage del 1995. Era grigia e silenziosa. Parlava di morte». Il 23enne Giorgi è originario della Georgia. «Non potrò mai dimenticare la guerra nell’Ossezia del Sud del 2008. La situazione era orribile. Gli aerei russi bombardavano le città. Non sapevamo come fermarli».

 

Tuttavia sarebbe un tremendo errore considerare Rondine un campo di battaglia. Anzi, è l’esatto opposto: è la prova che un altro mondo è possibile, che fedi e culture differenti non sono steccati, che la riconciliazione può essere costruita dal basso. Come? «Facendo germogliare l’amicizia fra nemici. E quel dialogo che è temuto e appare irraggiungibile trasforma la vita dei giovani che qui vengono dalle zone di guerra e consente loro di abbandonare odi e antiche convinzioni», spiega Franco Vaccari, presidente della Cittadella della pace ospitata in questa frazione da cartolina. Conoscere l’altro: ecco lo stile “educativo” di Rondine che da diciotto anni scommette sui ragazzi per dire che la pace non è un’utopia. Non è un caso che si intitoli “YouTopic Fest” il Festival internazionale.

 

Si sentono le lingue di mezzo mondo fra le viuzze di Rondine. Ma la mente non va a Babele. «L’umanità è un’unica grande famiglia: tutti hanno bisogno di casa, cibo, lavoro, dignità. Per questo non ci può essere pace dove non c’è giustizia. Va promossa un’autentica cultura dell’incontro. E all’Europa diciamo che non servono muri o fili spinati ma ponti», avverte il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve. I ragazzi dello Studentato internazionale, perno della Cittadella, lo incontrano giovedì sera, ospite dalla prima giornata del Festival.

 

Si parla di legalità al mattino fra i liceali.  «Basta guerre di mafie», scrive uno dei ragazzi su Facebook. In contemporanea Lusine dell’Armenia e la sua “nemica” Ulwiia dell’Azerbaigian rilanciano la campagna online “No hate” per la protezione dei diritti umani. Poi nella chiesetta del borgo viene inaugurata la mostra della russa Nadia Shaulova: ha dipinto i volti dei ragazzi dello Studentato. Il ritratto della palestinese Lina è accanto a quello dell’israeliana Yahel. In mezzo rondini di carta che accompagnano i nuovi “artigiani” della pace.

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