martedì 18 dicembre 2018
Don Emanuele: così sono a servizio della comunità e possono incontrare i loro figli, in attesa di poter ripartire sulla giusta strada.
Un detenuto lavora alla realizzazione del presepe nella chiesa di san Domenico a Taranto

Un detenuto lavora alla realizzazione del presepe nella chiesa di san Domenico a Taranto

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Nella Città vecchia di Taranto, gioiello incastonato tra due mari, isola fisica e spesso anche sociale, la consuetudine è dividere gli amici, i conoscenti, i parenti, tra 'chi sta dentro' e 'chi sta fuori'. Perché nella comitiva d’infanzia, tra i compagni di scuola o addirittura in famiglia, c’è sempre chi ha tirato dritto e chi ha preso una 'brutta strada'.

Gianni, 49 anni, 3 figli maschi e due nipotini di 5 anni e di appena un mese, 'dentro' ci sta da parecchio. «Già a 16 anni ero nei clan – racconta –. Gli studi li ho fatti in galera. Mia moglie per me è la cosa più importante. Stiamo insieme dal ’90. Lei lavora, io fra due mesi finisco (di scontare la pena, ndr) e mi metto a fare volontariato in parrocchia. Anche se penso spesso che se dal carcere si esce, dalla condanna no. Dal dolore che ti porti dentro, dal giudizio degli altri, non si esce mai».

Si confida Gianni, mentre sistema la paglia nel presepe monumentale che sta allestendo insieme ad altri detenuti e a Damiano, Angelo, Vincenzo, Francesco e Giuseppe, cinque giovani volontari del quartiere. Lavorano nei locali adiacenti alla storica chiesa di san Domenico, che custodisce la Madonna dell’Addolorata, veneratissima in città.

«Il progetto di far collaborare i detenuti all’allestimento di questo grande presepe che resterà fisso e visitabile per tutto l’anno – spiega don Emanuele Ferro, parroco del Duomo di san Cataldo e cuore pulsante di un progetto voluto dall’arcivescovo della diocesi ionica Filippo Santoro – è nato dall’incontro con i figli di queste persone che sono in carcere. Il periodo delle feste, per chi ha un parente detenuto, è sicuramente il più difficile. La direttrice del carcere, Stefania Baldassari, ha sposato l’idea».

Così ogni giorno, per tutta la mattinata, si lavora all’allestimento del grande presepe, appartenuto al signor Montanari, un ufficiale dell’aviazione in riposo, oggi deceduto. Si trovava nella sua casa ed i figli hanno voluto donarlo alla chiesa locale, perché la passione del padre diventasse patrimonio comune.

«Ai bambini – prosegue don Emanuele – si dà la possibilità di vedere che il padre non sarà sempre tra le sbarre ma può essere come tutti gli altri papà, che si spendono per la propria comunità, per la parrocchia». Il permesso straordinario dura fino alle ore 16, così «dopo la mattinata di lavoro, ci raggiungono le famiglie e pranziamo tutti insieme in casa canonica. Questo incoraggia i detenuti, a cui viene data una possibilità e una grande fiducia da parte di chi gestisce la loro riabilitazione e poi solleva le stesse famiglie, che respirano una condizione di normalità».

L’iniziativa, che si vorrebbe replicare in altre zone della città di Taranto, è diventata presto, oltre che un’occasione di riscatto per chi ha sbagliato, anche un segno di attenzione rivolto dalla comunità a chi sta percorrendo la via non facile del riscatto dopo gli errori commessi. «Il mio sogno è trovarmi un lavoro e tornare a stare accanto alle mie bambine – afferma Giovanni, 29 anni, padre di tre figlie piccole – e pensare che se dal lavoretto al minimarket e con il peschereccio ho iniziato a delinquere, era proprio per garantire un futuro meno precario a loro».

«È la prima volta che sono fuori, dopo tanto tempo. All’inizio mi sentivo spaesato – confessa Nicola 34 anni, da 3 in carcere – ma è bello vedere la famiglia tutti i giorni. Mi piacerebbe tanto tornare a stare a casa e ricominciare ad andare per mare».

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