lunedì 13 gennaio 2020
I funerali del giovane, colpito da un sarcoma osseo che lo aveva lentamente consumato fino alla scelta della sedazione profonda. «Ha insegnato a tutti che la vita è un dono e non va sprecata»
Giovanni Custodero in un'immagine del suo profilo Facebook

Giovanni Custodero in un'immagine del suo profilo Facebook - Ansa

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Ha combattuto ogni giorno per quasi cinque anni, Giovanni Custodero. Con quel sorriso che chi lo conosceva definiva «contagioso». In una partita che voleva vincere con tutto se stesso, come quando difendeva la porta del Cocoon Fasano, la sua squadra di calcio a 5 in C2. Ma la malattia – una rara forma di sarcoma osseo che lo ha colpito quando aveva 23 anni costringendolo non solo a chemio, radio e sei interventi, ma anche all’amputazione di una gamba – oramai stava correndo più di lui e gli toglieva energie causandogli dolori insopportabili.

Da qui la scelta, il 7 gennaio, passate le feste in famiglia, della sedazione continua e profonda «per alleviare il malessere» e «non far prevalere la sofferenza» nella battaglia finale, quando sarebbero stati solo lui e il suo tumore. Fino a domenica scorsa, quando il «guerriero sorridente» ha smesso di respirare, lasciando però a tutti un messaggio dalla semplicità disarmante: «Amate la vita».

«Vivere la vita in ogni istante» è infatti il messaggio che la famiglia, la fidanzata Luana e gli amici hanno voluto racchiudere in una lettera letta dall’amico di sempre Davide oggi durante i funerali che si sono svolti, tra palloncini bianchi e l’elmo da guerriero spartano – il suo simbolo – sulla bara, nella parrocchia di Santa Maria del Carmine a Pezze di Greco (Brindisi). A celebrarli don Antonio Esposito, il giovane sacerdote coetaneo dell’ex calciatore che aveva condiviso con lui gli ultimi mesi di vita. «L’ho conosciuto nell’ultimo periodo della sua esistenza – ha raccontato al Sir – e penso che abbia ottenuto ciò che desiderava di più: far sapere al mondo che la vita è un dono strepitoso e che non se ne può sprecare nemmeno un attimo».

Sulla scelta della sedazione profonda fatta da Giovanni, condividendo come era abituato a fare ogni cosa sui social, erano infatti intervenuti l’8 gennaio anche i familiari con una lettera aperta per spiegare che la sedazione profonda è cosa ben diversa dall’eutanasia. È «un trattamento sanitario al quale si ricorre per consentire a un paziente terminale di non provare dolore dopo che le altre terapie sono risultate inefficaci», avevano scritto, ricordando la voglia di vivere del ragazzo per cui «ogni alba è un regalo dal valore inestimabile».

A ricordare inoltre la differenza tra la storia del 27enne pugliese e quella di Dj Fabo è stata ieri anche la senatrice Udc Paola Binetti. Pur rispettando entrambe le persone, dice, «urge ripristinare la verità delle cose e le differenze che separano i due casi». La sedazione profonda, infatti, «prevista dalla legge 38 – precisa – non è l’anticamera dell’eutanasia». Prevista da più di dieci anni dalla legge sulle cure palliative «non accorcia la vita, ma ne riduce il profondo disagio» e così Giovanni «si è addormentato dopo aver lungamente lottato».

Una scelta «condivisibile» quella della sedazione, aggiunge al Sir il parroco di Santa Maria del Carmine a Pezze di Greco, don Francesco Zaccaria, «dinanzi ad un dolore diventato insopportabile che si inquadra all’interno delle cure palliative consigliate per chi non ha più possibilità di guarigione verso il passaggio finale». Ma di Giovanni il sacerdote preferisce ricordare come «si facesse dono agli altri, affinché trovassero forza attraverso la sua testimonianza e il suo sorriso. In questo ha individuato il senso della sua prova».

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