lunedì 14 novembre 2016
L’emozione vissuta durante il master, poi il ritorno a Betlemme. Ora Shatha racconta l’impegno nelle Nazioni Unite
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Da Betlemme a Milano, andata e ritorno. Posso racchiudere in questa espressione una delle esperienze più belle della mia vita: quella che ho vissuto, per motivi di studio, in Italia. Un periodo straordinario perché ho goduto di una libertà che non ho mai avuto nel mio Paese. Soprattutto la libertà di movimento, che mi consentiva di andare da una città all’altra senza dover chiedere il visto. E mi ha permesso di visitare diversi Paesi dell’Europa senza che mi venisse mai richiesto il passaporto. Ho una laurea triennale in Accounting and Business, conseguita alla Bethlehem University. Quando nel 2008 sono stata ammessa al master in International Relations Management (che oggi si chiama Master in International Relations, ero davvero entusiasta, per quanto molte persone fossero parecchio stupite della distanza tra la mia formazione economica e il percorso di studio che avrei intrapreso in Italia. Ma quello che molti non sanno, e che ogni palestinese sa, è che nella mia regione anche l’acqua che si beve è legata a questioni di natura politica.

Mi sono goduta ogni momento delle lezioni del master Aseri. E ricordo, come se fosse ieri, che alcune volte uscivo dall’aula con le lacrime agli occhi chiedendomi quando il mondo sarebbe stato in grado di parlare il linguaggio della verità anziché quello del potere. Alla fine del master ero veramente orgogliosa di aver ottenuto il diploma con il massimo dei voti. Concluso il mio percorso di studio a Milano, sono ritornata nella mia terra con la speranza di poter contribuire alla costruzione di una Palestina pacifica. Ho mosso i primi passi collaborando con una Ong che lavorava con gli artigiani di Betlemme e che in seguito è diventata membro della World Fair Trade Organization.

Ancora una volta posso dire di essere orgogliosa di aver visto crescere questa piccola organizzazione, che ho lasciato quando mi è arrivata la proposta della United Nations Relief and Works Agency (Unrwa). Dal 2011, infatti, lavoro per quest’agenzia, che si occupa di uno dei maggiori programmi di sviluppo delle Nazioni Unite. Vi sono entrata in qualità di assistente personale del direttore del Dipartimento di Microfinanza, nel quartier generale di Gerusalemme. Questo Dipartimento fornisce opportunità generatrici di reddito ai rifugiati palestinesi e ad altre minoranze più vulnerabili ed emarginate. È l’unico programma di micro-finanza regionale nell’area del Medio Oriente, che può contare su 21 succursali distribuite tra Siria, Giordania e Palestina (nei territori della Cisgiordania e di Gaza).

Oggi ricopro il ruolo di funzionario amministrativo di questa Agenzia delle Nazioni Unite e posso andare a Gerusalemme, lontana solo otto chilometri da Betlemme, anche se ho bisogno di un visto che devo ricevere ogni sei mesi dalle autorità di Israele. Un permesso che la maggior parte della mia gente desidererebbe avere per entrare a Gerusalemme. Prego che arrivi il giorno in cui non ci sarà più bisogno né dell’Unrwa né di altre organizzazioni internazionali, cioè quando sarà finalmente posta una fine pacifica al conflitto israelo-palestinese.

* già studentessa Aseri

(traduzione di Caterina Mori)

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