venerdì 10 gennaio 2020
Foggia (provincia compresa) viene azzannata dalle mafie fin dai primi anni Ottanta, sebbene i media l'abbiano scoperto di recente. Nel pomeriggio in città il corteo di Libera
La scena di un omicidio di mafia nel Foggiano, avvenuto nell'agosto del 2017

La scena di un omicidio di mafia nel Foggiano, avvenuto nell'agosto del 2017 - Ansa

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Sbagliereste a sorprendervi. Tutto era previsto e nero su bianco almeno da tre decenni. Perché Foggia (provincia compresa) viene azzannata da mafie e criminalità fin dai primi anni Ottanta, sebbene soprattutto negli ultimi tempi occupi stabilmente la cronaca di giornali, siti e tivù. Tant’è che da queste parti la ministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha appena annunciato che aprirà presto, prestissimo, un ufficio della Dia. Da queste parti c’è stato il primo morto ammazzato dell’anno. Da queste parti uccidono, incendiano e fanno saltare in aria senza scrupoli, né soste. Negli ultimi quattro anni gli omicidi sono stati cinquantanove (compresi innocenti trovatisi al posto sbagliato nel momento sbagliato) e i tentati omicidi sessantasette. Eppure tutto era, davvero, previsto. Magari, allora, evitabile. Perciò stasera saliranno anche i familiari delle vittime di mafia sul palco allestito a Foggia dove, al termine del corteo contro le mafie organizzato da Libera, parleranno i parenti delle vittime e poi il vescovo, monsignor Vincenzo Pelvi, insieme al fondatore di Libera, don Luigi Ciotti.

Riavvolgiamo il nastro, un bel pezzo, e andiamo per ordine. «Sembra essersi costituito a Foggia un centro di potere economico affaristico che influenza vari settori della vita cittadina, ivi compresi taluni mezzi d’informazione di origine e rilievo locali», scrive nella sua Relazione sulla Puglia la Commissione parlamentare sulle mafie nel 1989. Ed è appena l’inizio, il resto mette in brividi.

La magistratura foggiana? «È divisa al suo interno», «non aggredisce organicamente la criminalità economica» e si muove con una «gestione burocratica avulsa dall’evoluzione dei fenomeni politico-sociali e criminali che hanno interessato la città». Gli ambienti istituzionali e politici? «In alcuni affiora un certo disimpegno, tendente a minimizzare le manifestazioni criminali». Intanto «la criminalità è sempre più organizzata e pericolosa». Al punto che «bisogna convincersi che sono in gioco le sorti dell’avvenire democratico della provincia di Foggia». Parole, appunto, di trentuno anni fa. La Puglia fa gola. Nel 1990, per intenderci, la crescita nazionale del prodotto interno lordo è al 2,7 per cento, quella pugliese al 4,7.

Una gran bella torta che attira le mafie locali e quelle vicine, che si scatenano più che altro nel traffico di droga e nelle estorsioni. Risultati? «Si è esteso il raggio di azione delle cosche – scrive quella stessa Commissione parlamentare nella sua Relazione del 1991 – ed è inevitabilmente aumentato il livello di corruzione dell’apparato pubblico, minacciato e blandito da una criminalità sempre più aggressiva e sofisticata». Si vanno mettendo le basi della triplice, infame alleanza, formidabile ancora oggi: mafie, pezzi dello Stato e pezzi dell’imprenditoria.

Sono anni nei quali il cancro delle mafie da queste parti comincia a metastatizzare. A Foggia e provincia si muovono «numerose organizzazioni criminali che operano con metodologie di stampo mafioso« e si registra «una forte conflittualità tra bande per il controllo delle attività illecite», scrivono ancora i Commissari parlamentari sempre in quella Relazione del 1991. Il Prefetto però non è preoccupato e spiega che «non vi sono collegamenti fra amministratori locali, imprenditori e criminalità organizzata». Mentre alcuni magistrati foggiani raccontano di un «quadro preoccupante della vita politico-amministrativa del capoluogo e del funzionamento degli uffici giudiziari» e il capo della Procura parla di «diffusa illegalità negli atti della pubblica amministrazione». Non bastasse, quelle metastasi nella società cominciano a piacere a molti. Per esempio, i sequestri giudiziari di immobili «vengono accolti dalla gente del luogo con malcelato stupore, essendo assai radicata la convinzione della legittimità di un comportamento pacificamente in contrasto con la legge penale».

La Puglia ormai è ufficialmente la terra della “quarta mafia”. E del resto lo chiarisce bene nel 1997 la “Direzione investigativa antimafia”: negli ultimi quindici anni c’è stata un’espansione del fenomeno criminale mafioso, «il cui sviluppo e consolidamento» è avvenuto per due ragioni, «la “colonizzazione” del territorio soprattutto da parte della camorra, oltre che da gruppi calabresi e siciliani», e «l’effetto imitativo dell’assetto strutturale e degli schemi comportamentali mafiosi ad opera nelle nascenti formazioni pugliesi». La “scuola” era già iniziata alla fine degli anni Settanta, quando Raffaele Cutolo (fondatore e a lungo burattinaio della nuova camorra organizzata) comincia a mettere le mani sulla Puglia, costretto a spostare parte dei suoi interessi, dal napoletano a una zona con minori controlli, per la pressione delle forze dell’ordine e della magistratura.

Sempre la Dia e sempre nel 1997 spiega che a Foggia «la malavita organizzata fa capo a dodici organizzazioni criminali con circa trecentoventi affiliati, gravita ancora nell’universo di interessi della camorra campana, con attività nel settore degli stupefacenti, delle estorsioni verso operatori commerciali e nel riciclaggio di denaro». Ma poiché i modi per fare soldi sporchi sono molti, le mafie foggiane si occupano anche di usura e sfruttamento del lavoro nero, trafficano armi di contrabbando (delle quali rifornisce spesso e volentieri le cosche calabresi e siciliane) e non restano fuori nemmeno dallo «smaltimento illegale di rifiuti urbani e speciali». Naturalmente, quando occorre, ammazzando senza problemi.

LA SECONDA PUNTATA

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