mercoledì 3 agosto 2022
L'ex Guardasigilli e presidente emerito della Corte Costituzionale: il caso della signora Elena non rientra fra quelli in cui la Consulta ha depenalizzato l'aiuto al suicidio
Giovanni Maria Flick

Giovanni Maria Flick - Ansa

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«Ho letto le dichiarazioni di Marco Cappato. Esse mostrano la piena consapevolezza di star compiendo un gesto provocatorio, reso possibile dall’inerzia del Parlamento», commenta Giovanni Maria Flick. L’ex Guardasigilli e presidente emerito della Consulta ha più volte avvertito del rischio che si correva nel non prendere in considerazione i ripetuti inviti della Corte Costituzionale a legiferare sull’aiuto al suicidio.

Le resistenze di molti esponenti politici partono dall’esigenza di non avallare, sancendolo per legge, il via libera al suicidio assistito venuto dalla Consulta, sia pur in alcuni casi limite.

Ma chi ragiona così ottiene il risultato opposto a quello che si ripropone. Io ho espresso qualche perplessità sul carattere 'creativo' della sentenza che, intervenendo sul caso di Dj Fabo, depenalizzava l’intervento di Cappato, subordinandolo a quattro presupposti. Li ricordiamo: il valido consenso del paziente; la sofferenza da lui ritenuta intollerabile; una prognosi infausta irreversibile, e infine la dipendenza da supporti vitali. Come si vede, invece, non legiferando si apre la strada a una deriva che, con l’intervento del giudice caso per caso, arriva inevitabilmente a un progressivo ampliamento dei casi consentiti.

Ma si sostiene che è proprio la sentenza della Corte ad aver aperto la strada a casi come quello, ultimo, della signora Elena.

Ma questo è un caso che si colloca al di fuori del sistema previsto dalla Consulta con quella sentenza, ed è stato reso possibile dall’assenza di una legge che purtroppo non è arrivata, perché si è partiti troppo tardi per rispondere alla richiesta della Corte. Quale manca dei quattro criteri? Manca il quarto, la dipendenza da un intervento medico-sanitario che la tenga in vita, come hanno confermato le ultime dichiarazioni rese dalla signora Elena. Così però si apre la strada alla liberalizzazione del suicidio assistito, che si sarebbe potuta impedire, e si può ancora impedire, attraverso l’approvazione di una norma, che partendo dalla impostazione data dalla Corte disciplini bene i singoli casi, evitando che si proceda per provocazioni, caso per caso.

Si punta ad ottenere un passo alla volta quello che non è stato possibile ottenere tramite referendum.

La Corte Costituzionale nel dichiarare inammissibile il quesito radicale sul fine vita ha ribadito il principio che su temi così delicati, che riguardano il diritto alla vita e a una morte dignitosa, lo strumento del referendum abrogativo è inadeguato, e occorre un pronunciamento legislativo di tipo tradizionale. Ma il Parlamento non ha colto nemmeno stavolta questo invito.

La Camera si è pronunciata.

Ma non basta e la legislatura volge al termine. Un tardivo intervento del Senato tenderei ad escluderlo, non mi pare che siamo nell’ambito di quegli interventi urgenti che sono ipotizzabili anche a Camere sciolte. Per cui è un’occasione mancata, c’è solo da sperare che in virtù di una nuova consapevolezza provveda il prossimo Parlamento.

Lei parla di provocazione consapevole. Alla fine vede anche l’intento di inserirsi con una propaganda indiretta in questa campagna elettorale?

Non me la sento di affermarlo, ma a giudicare dagli effetti causati da questo atto provocatorio questo effetto può essere in in re ipsa, al di là del fatto se sia stato voluto o meno.

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