martedì 1 marzo 2011
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Difende il Colle e le sue prerogative, attacca la retroattività del processo breve, conferma che non ha intenzione di dimettersi da presidente della Camera e che, qualora fosse chiamato a dirimere la questione del conflitto di competenza con i giudici di Milano, agirà in modo super partes. Ma soprattutto mette sul piatto della bilancia la sua stessa sopravvivenza nella vita pubblica: «Se il progetto di Fli fallisce, lascio la politica. Ma dovranno deciderlo gli italiani con il voto». Un Gianfranco Fini a tutto campo, quello di ieri sera ospite di Lilli Gruber nella sua trasmissione a La7. A partire dalla difesa di Napolitano dagli attacchi del premier: «Non è puntiglioso, siamo nella prassi. Il presidente esercita il suo diritto dovere di verificare che le leggi rispettino la Costituzione». E affonda il coltello: «Se uno studente a un esame di diritto costituzionale sostenesse che il capo dello Stato boccia le leggi che non gli piacciono, sarebbe lui a essere bocciato». Nessuna tregua con Berlusconi sul fronte giustizia: «Deve difendersi nei processi». E, poi, aggiunge: «Abbiamo una diversa concezione della giustizia. Lui pensa che essendo eletto dal popolo, non debba sottoporsi ai processi». Sul processo breve dice che è disponibile a parlarne, purché non si faccia la norma retroattiva, che è in modo lampante una legge ad personam. Poi ribadisce un concetto ripetuto altre volte: «L’immunità parlamentare non può essere confusa con l’impunità». E propone la reintroduzione dell’immunità, purché le richieste dei giudici di procedere siano respinte a maggioranza dei due terzi. Parole dure anche sulla formazione delle liste del Pdl: «Il metodo Minetti [la consigliere regionale lombarda del Pdl, indagata per sfruttamento della prostituzione nel caso Ruby, ndr] non va bene, lei è stata scelta per motivazioni che non avevano nulla di politico». Secca smentita sulle alleanze di Fli con il Pd: «È una bugia messa in giro ad arte». Un passaggio, infine sul cosiddetto "testamento biologico". Il presidente della Camera ricorda che la sua posizione personale è nota, come del resto emerse nella vicenda di Eluana. Ma poi tira in ballo il Catechismo della Chiesa cattolica, dicendo di ritrovarsi «al 100%» nel passaggio sull’accanimento terapeutico (il quale però è tutt’altra cosa dal negare l’idratazione e la nutrizione a una persona), che legge in tv: «L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza o la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente».
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