venerdì 29 luglio 2022
È il primo caso in Italia: Bari tenta la strada della legge regionale
Fine vita, la Puglia vuol fare da sé. I vescovi: «Siano assistiti i malati»

Ansa

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Sul delicato tema del fine vita la Puglia tenta la strada della legge regionale. È il primo caso in Italia, la prima volta che una regione prova a fare da sé. Una fuga in avanti che ha spinto i vescovi pugliesi ad un appello alla prudenza e al più ampio confronto. Una norma che legifera sulla vita e sulla morte e che per questo, per la Conferenza episcopale pugliese, meriterebbe la dignità di un percorso tra Camera e Senato più che “il ripiego” di una scorciatoia regionale. Intanto, il testo sul fine vita potrebbe approdare nell’Aula del parlamentino pugliese prima del rompete le righe estivo. A Bari si prova a spingere sull’acceleratore dopo che, nei giorni scorsi, la proposta di legge è stata approvata dalla Commissione sanità del Consiglio regionale pugliese. Un primo semaforo verde che si è acceso non all’unanimità: hanno votato contro Fratelli d’Italia e due consiglieri regionali del Pd, mentre il M5S si è astenuto. La proposta di legge, che vede come primo firmatario Fabiano Amati (Pd), prevede l’assistenza sanitaria per la morte serena e indolore di pazienti terminali.

«Siamo ben consapevoli della sensibilità e della delicatezza del tema che è di drammatica attualità e poiché riguarda la sacralità della vita necessita di un percorso accurato da parte del legislatore, in un ampio confronto parlamentare che rappresenti il Paese e le reali necessità dei suoi cittadini, scevro da logiche di parte e possibili strumentalizzazioni», afferma la nota della Conferenza episcopale pugliese guidata dal presidente Donato Negro (arcivescovo di Otranto) e dal vicepresidente Michele Seccia (metropolita di Lecce). Una legge che abbraccia, dunque, questioni fondamentali come i diritti, le libertà, il valore della vita. «Ogni cittadino – incalza la Chiesa pugliese – ha, al di sopra dei diversi iusgarantiti, quello che si può riassumere nello ius vitae, ovvero la tutela da ogni attentato contro la vita e la garanzia che la Comunità se ne prenda cura, non ricorrendo a formule parziali quando non vi riesca». Per i vescovi, quindi, ogni tentativo di normare il fine vita «senza aver posto in atto le opportune garanzie di assistenza e ausilio non è confacente con il rispetto della persona».

Ecco perché la nota della Conferenza episcopale pugliese si sofferma poi sul nervo scoperto delle cure: «Fermo restando che il malato, in qualunque stato della propria patologia si trovi, vada difeso, accolto, assistito e accompagnato, registriamo, purtroppo, che cure palliative e sedazione del dolore, esigenze ineludibili che dovrebbero essere fruibili in ambiti ospedalieri, territoriali e domiciliari, non trovano ancora questa diffusione. Le indicazioni della legge 38 del 2010, a 12 anni di distanza, non trovano attuazione su tutto il territorio del Paese. E fino ad oggi non sono stati raggiunti neanche gli standard minimi. Esortiamo, quindi, ad una prudenziale valutazione della realtà senza assolvere le inadempienze finora registrate con percorsi legislativi di ripiego – è il richiamo dei vescovi pugliesi – che rischiano di non essere rimedi efficaci a livello scientifico e umano».

La proposta di legge approvata in Commissione regionale, secondo la voce dei promotori, assorbe il dettato della sentenza della Corte costituzionale 242 del 2019. E quindi richiama il dovere del servizio sanitario pubblico, gestito dalle regioni, di prestare l’assistenza e l’aiuto necessari «per una morte dolce e serena» ai malati terminali o cronici, affetti da patologie irreversibili, tenuti in vita con trattamenti di sostegno vitale, e che si trovino in condizione di sofferenze fisiche e psicologiche intollerabili. Una eutanasia consentita per legge, fatto salvo il diritto di obiezione di coscienza dei medici e a condizione che chi è in fin di vita sia consapevole e abbia espresso autonomamente e liberamente la propria volontà. Intanto, il braccio di ferro è anche sulla competenza delle regioni a legiferare su questioni relative al fine vita, alla luce anche dell’assenza di una normativa nazionale. «Si può garantire anche con legge regionale il congedo dalla vita senza dover subire il medesimo destino aggravato da un processo più lento e doloroso per se e per le persone care – sostiene il consigliere e primo firmatario Amati –: introduciamo norme coerenti con la sentenza della Corte costituzionale di tre anni fa ritenuta dal ministero della Salute autoapplicativa e fonte di obblighi esecutivi a carico delle regioni ». Un “atto di indirizzo”, nelle intenzioni di Amati, che tutte le regioni dovrebbero ora seguire.

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