In attesa che nell’aula della Camera in aprile riprenda l’esame della legge sul fine vita, con la votazione degli emendamenti e dei singoli articoli, cresce il consenso trasversale dei parlamentari sul testo in discussione, per quanto esso sia, come tutti i testi legislativi, migliorabile. La riprova è fornita dalla serie di interviste realizzate da Avvenire, a cui oggi si aggiungono le voci del leghista Matteo Bragantini e di Luca Volontè dell’Udc. Alla ripresa del dibattito il prossimo mese si voterà la richiesta di sospensiva del Pd e anche le pregiudiziali di costituzionalità dei radicali eletti nel Pd e dell’Idv. Il gruppo di Antonio Di Pietro, assicura Gabriele Cimadoro, «è orientato a garantire libertà di coscienza su questo provvedimento». Comunque per Cimadoro la linea da seguire nel legiferare su questo tema è quella di «concedere alle persone la libertà di scelta». Nel dibattito svoltosi negli scorsi giorni in occasione della discussione generale a Montecitorio, sono, però, emerse posizioni non sempre motivate dal reale contenuto dell’articolato. Non sembra giustificata dalla proposta in esame, infatti, la tesi di esponenti del Pd secondo cui sarebbe meglio non fare nessuna legge, perché quella attuale conterrebbe di fatto una forma di eutanasia passiva. Chi afferma ciò, trascura di prendere in attenta considerazione il fatto che uno dei punti cardine dell’articolato in discussione è proprio il fatto che le dichiarazioni anticipate di trattamento (Dat) non sono vincolanti per il medico. Va infatti registrato anche la circostanza che in nome del rispetto della libertà del medico e della sua coscienza professionale, in seguito al parere espresso dalla commissioni Affari costituzionali, è stata eliminata la norma che in caso di contrasto tra medico curante e fiduciario, rendeva vincolante il parere del collegio di specialisti a cui si fa ricorso. Molto equivoca, poi, la formulazione dell’emendamento di cui si è fatto sostenitore, il coordinatore del Pdl, Sandro Bondi. Infatti, pur sostenendo che alimentazione ed idratazione sono sostegni vitali, si consente la possibilità di rifiutarle in Dat «impegnative». In questo modo di fatto si apre la strada all’eutanasia e al suicidio assistito. Una volontà di questo tipo viene infatti a configurarsi, quando si arrivi a scrivere nelle Dat che non si vuole la somministrazione di acqua e cibo. Inoltre, cosa altrettanto grave, il sistema sanitario verrebbe sviato dalla sua funzione fondamentale di cercare la guarigione del paziente a quella di collaborare al suicidio. Molto diversa la formulazione del testo come uscito dalla Commissioni Affari sociali, che ribadisce come punto cruciale che acqua e cibo non possono essere contenute nelle Dat, e prevede la possibilità di sospenderle solo nel caso eccezionale in cui il medico riscontri che non siano più efficaci a fornire i fattori nutrizionali necessari alle funzioni fisiologiche essenziali del corpo. Non si configura nella legge in esame poi, come è stato scritto, un mandato al medico curante relativamente alle Dat, restando sempre libero il paziente e poi il suo fiduciario di cambiare medico. Infine, a circa due anni dalla morte di Eluana Englaro, decesso provocato dalla decisione dei giudici di farle sospendere idratazione ed alimentazione, è indispensabile legiferare per riaffermare il principio della indisponibilità della vita umana e evitare la possibilità che possano essere pronunciate analoghe sentenze della magistratura. C’è bisogno anche di fissare una norma molto chiara che impedisca che la volontà di una persona possa essere ricostruita successivamente attraverso il suo stile di vita. Del resto in quei drammatici giorni fu il Parlamento a prendere l’impegno a varare un norma in tal senso.