lunedì 9 giugno 2014
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Brigitte ha un forte accento milanese e i capelli di un colore corvino-lucente tipico dei nativi andini. “Perché sono nata là, in Ecuador, 19 anni fa”. Da nove, però, la giovane vive nel capoluogo lombardo, dove studia turismo. Teresa, invece, infarcisce le frasi di parole iberiche. “Ancora faccio fatica a parlare l’italiano”. E’ arrivata nella Penisola 13 anni fa già cinquantenne dal Perù. Era rimasta vedova e non voleva gravare sul figlio. “Ma fra qualche anno torno indietro”. Accanto a loro, in una delle numerose file di sedie allestite in piazza Esquilino, c’era Pablo, 42 anni, filippino. “Ma ormai sono cittadino italiano: ci abito da 22 anni”. Si è data appuntamento alla chiesa della Beata Vergine Addolorata a San Siro, nella domenica di Pentecoste, la “nuova Milano delle genti”. Quella città rinnovata con il contributo dello Spirito, in cui tanti popoli, culture e lingue si sforzano di costruire un’unica famiglia umana, come ha sottolineato durante la Messa – celebrata in 12 lingue - l’arcivescovo Angelo Scola. “Lo Spirito vince ogni divisione e confusione e ci fa tutti figli dell’unico Padre”, ha detto il cardinale che è stato accolto in piazza Esquilino da un corteo di centinaia di bimbi, piccoli milanesi di ogni etnia. Ad ascoltare l’arcivescovo – all’interno della parrocchia stracolma e imbandierata con drappi di tutto il mondo - c’erano oltre un migliaio di persone.

FotogrammaChe, dopo la funzione, hanno ballato e cantato fino alla preghiera conclusiva del pomeriggio. “Il cardinale ci ha fatto davvero un grande regalo scegliendo di celebrare la Pentecoste insieme a noi”, ha affermato don Alberto Vitali, nuovo responsabile dell’Ufficio per la Pastorale dei migranti. Un’occasione quanto mai simbolica. “La Pentecoste sottolinea come le differenze devono essere composte e non superate, in nome di un’uniformità appiattita. Solo così l’umanità raggiunge la sua pienezza, in base al progetto originario di Dio”, aggiunge don Alberto.

FotogrammaParole che soprattutto in questa parte di città, dove oltre la metà della popolazione è straniera, si incarnano nelle storie di decine di migliaia di donne e uomini. “Quando sono arrivato, 32 anni fa, tanti non avevano mai visto un migrante – conclude Micheal, 62 anni, ricercatore ugandese -. Ora, per fortuna, non è più così. E questa nuova Italia mi piace”.

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