venerdì 2 settembre 2016
Il ministro della Salute Lorenzin annuncia che si sta lavorando a una nuova campagna sulla fertilità, mentre proseguono le polemiche. Interventi del Forum e della Giovanni XXIII.
Fertility Day, si lavora a una nuova campagna
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Non accennano a placarsi le polemiche sul Fertility Day, l’iniziativa lanciata dal Ministero della Salute per promuovere una corretta cultura della fecondità in un Paese in pieno gelo demografico, e prevista per il 22 settembre. Le critiche al ministro Beatrice Lorenzin sono arrivate al punto che una sua defezione a un dibattito alla Festa dell’Unità di Milano ha richiesto un intervento dell’ufficio stampa che ha precisato come il ministro «ha deciso di rimodulare la campagna di informazione e prevenzione sul Fertility Day del 22 settembre. A questo ha lavorato oggi al ministero, rinunciando a partecipare alla Festa dell'Unità di Milano e non certo per evitare contestazioni come qualcuno ha voluto ipotizzare». Ma le migliaia di commenti (la gran parte negativi) sulla campagna mostra che non è stato capito l’intento del Fertility Day, che resta quello di richiamare l’attenzione sull’emergenza nazionale numero uno: la denatalità. A parole tutti d’accordo che occorra fare qualcosa per invertire il trend, ma quando qualcuno si azzarda a muovere le acque – in un modo che può essere ovviamente discusso – l’effetto è una censura pesante e spesso acritica.

Ci sono anche voci che entrano nel dibattito portando osservazioni serie e significative: è il caso del presidente del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, che, intervistato dalla Radio Vaticana, parla di «intuizione positiva» ma «il problema è che in Italia non ci sono le condizioni» perché «si possano realizzare i desideri e i sogni dei giovani», ovvero «fare famiglia, fare figli». Citando i dati del Rapporto Giovani dell’Istituto Toniolo, secondo il quale la maggior parte degli italiani under 30 desidera avere due o più figli, De Palo ricorda che «non è un problema di desiderio di fare figli» ma «che in Italia non ci sono le condizioni perché ciò avvenga». Infatti «c’è tutta una serie di difficoltà legate al lavoro, alla casa, alla precarietà», tanto che «mettere al mondo un figlio è diventata una delle prime cause di povertà, se una mamma deve nascondere il pancione quando va dal datore di lavoro perché altrimenti rischia di essere licenziata o di non vedere prorogato il suo contratto». Secondo il presidente del Forum «le famiglie oggi in Italia hanno bisogno di sentire uno Stato che ha fiducia in loro, che non sia un nemico ma un complice dinanzi a qualcosa di importante» come «la costruzione di cittadini del futuro» perché «senza figli non c’è futuro, non c’è crescita economica». Ecco quindi la richiesta di «politiche fiscali ed economiche adeguate, perché oggi non si tiene conto dell’articolo 53 della Costituzione che prevede di gestire e di pagare le tasse in base alla capacità contributiva che tenga conto della composizione della famiglia». Quanto alla campagna ministeriale, De Palo afferma che «il tema della fertilità è una intuizione interessante ma rischia di sanitarizzare un tema che dovrebbe invece essere visto tenendo conto di un aspetto antropologico e anche sociale. A noi non interessa fare figli tout court» ma che «i figli siano messi all’interno di una composizione familiare, che possa produrre dei frutti, che possa essere un investimento per il futuro: investiamo sulla famiglia e automaticamente avremo ancora più figli». Al Fertility Day parteciperanno «molte associazioni del Forum, quelle legate soprattutto ai centri della regolazione naturale della fertilità» con l’intento di «portare un valore aggiunto e cioè che il tema della fertilità è qualcosa di importante, anche perché è legato alla differenza tra uomo e donna, che c’è un modo anche di vivere l’affettività e la sessualità molto propositivo e molto bello».

Tra i commenti anche quello dell’associazione Giovanni XXIII che osserva come «una società senza figli è una società triste, ma oltre gli slogan servono azioni concrete». «Spiace – afferma il responsabile nazionale Giovanni Ramonda – che il Piano nazionale per la fertilità proposto dal ministro Lorenzin abbia suscitato le solite polemiche ideologiche anzichè un confronto serio sul tema della denatalità. Ci occupiamo da sempre di bambini senza famiglia, ma da un paio d'anni abbiamo lanciato l'allarme per le famiglie senza bambini». Per questo adesso «occorrono misure concrete che attribuiscano alla maternità un valore sociale ed economico». L’associazione ha proposto al governo Renzi con una petizione online di dare una sorta di stipendio alle mamme fino al terzo anno di vita del bambino, un modo efficace per ridare fiducia e rilanciare anche l'economia. Siamo disponibili a incontrare il governo per spiegare nel dettaglio la nostra proposta».

A tutti il ministro Lorenzin fa sapere che se la campagna pro-fertilità (in realtà per rendere consapevoli che la biologia umana ha regole precise da conoscere bene per poter procreare davvero liberamente) «non è piaciuta la facciamo nuova. È costata 28.000 euro», e non 220.000 come detto da quanti la contestano, «e chi l'ha creata la rifarà gratis. Però ha colpito nel segno dal punto di vista della comunicazione dell'evento. Spesso si fanno iniziative di prevenzione e nessuno se ne accorge. Non voglio difendere le cartoline, ma far passare i principi della prevenzione. Chi ha fatto queste cartoline – conclude il ministro – non aveva nessuna intenzione di offendere, dietro ci dovevano essere le spiegazioni. La campagna si deve ancora fare. Ma siccome viviamo nella realtà prendiamo atto di una comunicazione fraintesa». Il ministro ricorda che sono necessarie «politiche sulla natalità. È un lavoro da fare da qui a 20 anni, ma la fertilità è un tema che non si può ignorare: io da ministro della Salute pongo il tema sanitario e dico che ognuno deve fare il suo. La fertilità non si cura con l'asilo nido, è un problema di salute e noi abbiamo il compito di proteggere la capacità riproduttiva degli italiani». La campagna sul Fertility Day «è dedicata al 50% agli uomini e al 50% alle donne, ma c'è molta disinformazione anche ai livelli in cui non ci dovrebbe essere.»

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