giovedì 29 settembre 2022
Intervista all’ex ministro ed ex segretario Ds, tra i fondatori del partito: «Abbiamo bisogno di un’Epinay italiana, raccogliendo tutte le anime della sinistra»
Piero Fassino

Piero Fassino - Ansa

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Sono passati più di vent’anni e Piero Fassino torna al motto del congresso di Pesaro del 2001: 'O si cambia o si muore'. Ex segretario dei Ds, cofondatore del Pd, ex ministro, ex sindaco di Torino, rieletto domenica alla Camera, Fassino non perde tempo a commentare nomi e polemiche sulle alleanze, ma invita a una riflessione per arrivare a un punto di svolta.

Cosa non ha funzionato nella proposta del Pd?
Bisogna interrogarsi su un fenomeno che si è ripetuto in questi anni, cioè la migrazione continua del 20/30 per cento del corpo elettorale: il 25% al M5s nel 2013, il 40% a Renzi nel 2014, il 32% ai 5s nel 2018, il 34% alla Lega nel 2019 e oggi il 26% a Meloni. Bisogna capire cosa c’è dietro questi continui spostamenti di voti.

Un voto di protesta?
Direi soprattutto una grande inquietudine che percorre la società italiana. Veniamo da 15 anni di criticità: la crisi economica del 20082016, il Covid, poi la guerra e le sue conseguenze. Si è diffusa ansia, paura e chi è inquieto cerca rassicurazioni, ma le vuole subito. E se non le riceve subito dalla forza politica a cui si è rivolto, si sposta a un altro partito e così via. È un fenomeno che ci mette di fronte a un tema che interroga tutta la politica: una forbice tra il tempo rapido della società e il tempo più lento della politica. E questo va al di là di chi ha vinto e chi ha perso, perché Meloni si ritroverà lo stesso problema.

Quindi non è questione di legge elettorale o di riforme?
No, assolutamente. Per il Pd il risultato è più pesante perché noi abbiamo da sempre garantito la governabilità del Paese. Prima con Monti, poi Letta, poi Renzi e Conte fino a Draghi: ma chi pensa di non essere tutelato, non vota per chi governa.

E come se ne esce?
Dobbiamo capire come intercettare noi quell’inquietudine e trovare risposte rassicuranti. Capire con che politica vogliamo farlo e con quali alleanze.

Da qualcosa si deve cominciare...
Abbiamo bisogno di una Epinay italiana, la città francese dove all’indomani della sconfitta del vecchio partito socialista, Mitterrand chiamò a raccolta tutte le anime della sinistra – tranne i comunisti – e rifondò il Partito socialista francese. L’ispirazione valoriale era quella socialdemocratica, ma arricchita dall’apporto di progressisti, radicali, repubblicani, cattolico- sociali.

Un cambiamento drastico, compreso il nome?
Cambi il nome se cambi la cosa. Oggi è il tempo di mettere in campo un altro cambiamento, chiamando a raccolta le diverse anime della sinistra italiana, la socialdemocratica, la liberalprogressista, la ambientalista, i movimenti femminili e con loro costruire un nuovo grande soggetto politico, che non neghi il cammino condotto dal Pd, ma vada oltre con un ulteriore salto in avanti.

Su quali temi?
Bisogna ripensare il tema del lavoro in una società complessa, la redistribuzione dei redditi e della ricchezza. Ci sono temi cruciali quali gli anziani, l’infanzia, la denatalità, la disabilità che chiedono un welfare di prossimità ai cittadini. Un grande partito riformista europeo deve coniugare modernità e giustizia sociale, innovazione ed equità, mentre troppo spesso quei temi li abbiamo separati.

Letta è l’ennesimo segretario 'divorato', ma ha ancora un gran compito.
Letta ha fatto un lavoro straordinario, ha ridotto la 'libanizzazione' delle correnti, ha fatto una campagna elettorale generosissima. Come generoso è l’ultimo gesto di mettersi a disposizione per traghettare il partito verso orizzonti nuovi.

Di nomi per la segreteria ce ne sono già tanti, come di formule...
Non ci impicchiamo sulle parole. L’importante è che si sia consapevoli che non possiamo vivacchiare. Serve coraggio e ambizione di cambiare. Questo passaggio lo hanno fatto anche altri partiti in Europa. Non siamo condannati all’estinzione, ma si deve trarre dalla realtà la sollecitazione a mettere in campo i cambiamenti radicali necessari. E non partendo dal toto- segretario. La vocazione di candidarsi è legittima, ma se già annunciamo le candidature prima ancora che il Congresso sia convocato, il rischio è che il dibattito si concentri solo sui nomi. Il segretario si sceglie sulla base della linea politica.

E le alleanze?
C’è un rapporto inscindibile tra una linea politica, il programma e le alleanze, che si fondano sui contenuti. Non ci ci si può alleare solo sulla base di una somma aritmetica o per impedire all’avversario di vincere.

Le regionali incombono. Ci sono i tempi per tutto questo?
La discussione deve trovare uno sbocco prima delle elezioni, in modo che il partito sia attrezzato per affrontarle. Ma è un’illusione risolvere i nostri problemi con un tweet.

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