lunedì 11 febbraio 2019
Le infezioni causate da batteri resistenti agli antimicrobici provocano circa 25mila decessi l’anno nell’Unione Europea. Servono più investimenti in ricerca e sviluppo e politiche di prevenzione
La sfida alla resistenza antimicrobica
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Alcuni batteri presenti nell’uomo, negli animali e nei cibi continuano a presentare resistenza ad antimicrobici di largo utilizzo, afferma il rapporto sulla resistenza agli antimicrobici nei batteri (Amr), curato dall’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) e dal Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc). Le risultanze del rapporto evidenziano che la Amr costituisce una grave minaccia per la salute pubblica e degli animali. Le infezioni causate da batteri resistenti agli antimicrobici provocano circa 25mila decessi l’anno nell’Unione Europea. «Purtroppo l'Italia detiene la maglia nera in questa classifica - spiega Massimo Visentin, presidente del Gruppo Prevenzione di Farmindustria -. In media 10.780 persone muoiono ogni anno nel nostro Paese a causa di un'infezione da uno degli otto batteri antibiotico resistenti. Si stima che entro il 2050 un totale di circa 450mila persone morirà a causa della Amr».

Secondo la Banca Mondiale, l'impatto economico della Amr potrebbe avere tra poco più di 30 anni nella peggiore delle ipotesi ripercussioni più pesanti della crisi finanziaria 2008-2009: in Europa, Nord America e Austrialia potrebbero perdere la vita 2,4 milioni di persone. Mentre Italia, Grecia e Portogallo si collocherebbero ai primi posti tra i Paesi dell'Ocse per i tassi di mortalità da Amr.

«Oltre 85 aziende farmaceutiche, diagnostiche e biotecnologiche - sottolinea Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria - hanno firmato a Davos, nel gennaio 2016, insieme con nove associazioni industriali, una dichiarazione in cui si impegnano a sollecitare i governi e il mondo imprenditoriale a intraprendere un'azione globale di lotta alla resistenza antimicrobica. A supporto della dichiarazione di Davos, in occasione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, 13 aziende farmaceutiche hanno rafforzato il loro impegno delineando le linee guida fino al 2020. L'industria farmaceutica sta svolgendo sperimentazioni su 59 nuovi antibiotici. Molte imprese sono impegnate in attività di formazione e informazione per promuovere l'uso corretto degli antibiotici. In molte scuole e ospedali si tengono corsi per educare i bambini e gli operatori sanitari a lavarsi le mani per non diffondere i microbi. Oltre a campagne per promuovere le strategie vaccinali».


Gli antibiotici, infatti, stanno perdendo efficacia a un ritmo impensabile solo qualche anno fa e questo perché i batteri hanno sviluppato strategie per neutralizzarli, diventando dei veri e propri super-batteri. In un futuro non molto lontano, potrebbe accadere che gli antibiotici non funzionino più proprio nel momento in cui sono necessari. A gennaio dello scorso anno una delegazione di esperti, nominata sempre dall’Ecdc e dopo avere visitato alcuni ospedali in tre regioni italiane, aveva pesantemente evidenziato come «la situazione della resistenza antimicrobica nelle regioni e negli ospedali italiani rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica del Paese» e che «sembra che i dati relativi alla resistenza antimicrobica siano accettati e considerati ineluttabili».

Inoltre, le più recenti rilevazioni epidemiologiche internazionali sulla resistenza batterica agli antibiotici dimostrano come in Italia non si è avuta alcuna riduzione percentuale. Di fronte a questi ripetuti “allarmi rossi” allora che fare? Un passo avanti è stato fatto con la pubblicazione del Pncar (Piano di nazionale di controllo dell’antibiotico-resistenza), dove viene bene evidenziato l’obiettivo primario per il contenimento della diffusione dell’antibiotico resistenza: l’approccio “One Health”. Il significato di “One Health” deve essere inteso come una visione della salute non settoriale, ma di insieme: infatti, le resistenze si trovano e si diffondono non solo a livello umano, ma anche animale e nell’ambiente .

«Purtroppo - conclude Ranieri Guerra, assistant director-general strategic initiatives della Who (World Health Organization), l'Agenzia Onu che si occupa di Salute - dopo la pubblicazione del Piano, che prevedeva investimenti e risorse dedicate nei vari settori, nulla si è ancora concretamente visto. È evidente che di fronte a una grave minaccia per la salute pubblica del Paese, bisogna correre ai ripari immediatamente. Non bastano i semplici recepimenti del Piano da parte delle regioni italiane, ma occorre che vengano sviluppati, seguendo le indicazioni contenute nello stesso Piano, provvedimenti realmente operativi a livello comunitario e negli ospedali».


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