domenica 28 novembre 2010
Don Ciotti: garantire maggiore dignità. Giustizia e verità da sole non bastano. Sono accorsi in centinaia a Terrasini, vicino Palermo: armonizzare le legislazioni regionali. Dalla Chiesa: «Tutelare anche chi è stato vittima della criminalità comune».
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Scendono dalla camionetta dei carabinieri, dalle auto e si abbracciano con le lacrime agli occhi come succede tra amici di vecchia data, che ne hanno passate tante, troppe, insieme. Sono i 400 familiari di vittime di mafia che ieri, per la prima volta nella storia, si sono ritrovati a Terrasini, in provincia di Palermo, a Città del Mare aperta apposta per loro. Sono arrivati alla spicciolata da ogni parte d’Italia, invitati da Libera, portando una valigia di dolore e di coraggio per continuare a lottare per i diritti propri e delle tremila persone che in tutto il Paese vivono la loro stessa condizione. Ogni anno il 21 marzo si ritrovano nella Giornata della memoria e dell’impegno a ricordare uno ad uno i nomi e i cognomi delle vittime della criminalità, in una città diversa. Un cammino lungo quindici anni, che ha permesso a tanti di avvicinarsi, di venire allo scoperto, senza timori. Mancava, però, un momento di incontro, di studio, di riflessione, per denunciare con coraggio ciò che non va.«Il grido che abbiamo sempre colto è il bisogno di giustizia e di verità che ciascuno  esprime - dice don Luigi Ciotti, presidente di Libera -. Ma io aggiungo che c’è una terza istanza da portare avanti, il bisogno di dignità. Per questo siamo qui, in questa assemblea. Provo una grande commozione salutando tutti, conoscendo le storie, le ferite profonde e la grande capacità di mettere in gioco la vita».E, in effetti, sale un groppo alla gola nel vedere quei volti giovani che hanno già pianto mariti, mogli, figli, uccisi da proiettili o saltati in aria col tritolo, o quei capi e barbe canuti trascorrere i loro giorni tra le aule di giustizia per pretendere giustizia per quel figlio scomparso nel fiore degli anni e mai più ritrovato. Si commuovono e applaudono quando don Ciotti, accorato, dice: «Per noi quelle persone non sono morte, sono vive attraverso voi che ne avete preso il testimone e andate in giro per le scuole per invitare le persone a mettersi in gioco, a vivere una resistenza nuova. E per fare questo vi bruciate i permessi del lavoro, le ferie. Non è giusto». Eccola una delle criticità che il coordinamento di Libera vuole portare all’attenzione delle istituzioni e della politica, attraverso questo incontro di due giorni, che oggi produrrà un documento ufficiale. «La nostra è una presa di coscienza collettiva» afferma Stefania Grasso, responsabile nazionale dei Familiari delle vittime di mafia, a cui è stato ucciso il padre, un imprenditore della Locride. Al suo fianco anche il presidente onorario di Libera, Nando Dalla Chiesa. «Molti passi sono stati fatti dalla legislazione - spiega -, ma ci sono ancora tante incongruenze. Per esempio, ci sono molte persone a cui è stato riconosciuto lo status di familiare di vittima di mafia, ma non è mai stato celebrato un processo, oppure è stato archiviato, eppure ci sarebbero i presupposti per una riapertura, per fare giustizia. E poi ci sono le varie legislazioni regionali, che creano dei trattamenti diversi. Alcune regioni, come la Sicilia, sono più avanti. Chiediamo che possa esserci una condizione unica per tutti. E ancora il fatto che i familiari delle vittime della criminalità comune non vengano tutelati».Angela Ogliastro, poliziotto, sorella di Serafino, ucciso col metodo della lupara bianca nel 1991, non si arrende. Il killer Salvatore Grigoli si è autoaccusato del delitto, indicando altri 7 complici, ma il corpo del giovane non è mai stato ritrovato. «Occorre una modifica della legge 302 che tutela i familiari e che impedisce ai genitori e ai fratelli di avere il riconoscimento, se esistono coniuge e figli della vittima di mafia - afferma -. Coloro che si costituiscono parti civili devono essere ammesse alle 302. Se non vincerò la battaglia per me, lo farò per i tanti bambini che sono qui».
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