martedì 24 marzo 2015
Dilatare le buone prassi. Progetto Cei, Caritas e Forum. Diffondere e coordinare gli esempi positivi. Verso una “cabina di regia” delle esperienze di accoglienza in chiave familiare.
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C’è un fiume di bene generato dalle famiglie che scorre lento, silenzioso, non misurabile, generoso ma inarrestabile. Un bene di cui non si può più fare a meno, in un Paese che sta smarrendo i suoi orizzonti di riferimento e che, al di là delle semplificazioni mediatiche, cerca valori solidi a cui aggrapparsi. In questa emergenza sociale permanente rilanciare la cultura e la pratica dell’accoglienza in tutte le sue forme, la solidarietà familiare, il buon vicinato, le relazioni positive, significa offrire al Paese una base di benessere sociale da cui ripartire. Ma questo bene va incanalato, guidato, reso più fruibile, evitando repliche e sovrapposizioni. Non per soffocare la fantasia della carità, anzi per dilatare gli esempi positivi, moltiplicare le esperienze, offrire a tutti la possibilità di adeguare i propri sforzi a modelli che già si sono dimostrati positivi. Ecco l’obiettivo della "cabina di regia" pensata da Ufficio Famiglia Cei, Caritas e Forum delle associazioni familiari che sabato, a Verona, ha trovato il suo momento costituente. Si parte dalla famiglia, ha fatto notare don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio Cei per la famiglia, «perché c’è una chiamata al dono iscritta nel corpo di ogni donna e ogni uomo». Ma anche la famiglia migliore ha bisogno di buoni esempi per «liberarsi dalla paura di donare senza riserve». Da qui la necessità di un progetto allargato ad altri soggetti ecclesiali che, come ha fatto notare don Francesco Soddu, direttore Caritas italiana, possa offrire l’opportunità di superare interventi singoli e isolati. Si tratta di ripensare in chiave familiare tutta l’attività di Caritas,  ha fatto notare don Soddu,  perché la famiglia non è un target, ma un approccio per leggere lo stato dei diversi bisogni. Da qui la necessità di dare vita ad una piattaforma programmatica per sintonizzare percorsi, condividere materiali, alimentare il dialogo. Secondo Francesco Belletti, presidente del Forum delle famiglie, «innescare il dibattito pubblico sul tema dell’accoglienza significa rendere più civile il Paese». E quindi bisogna sottolineare che la cultura dell’accoglienza in formato famiglia, è un richiamo radicale all’impegno per tutte le comunità ecclesiali. Primo passo, che ha trovato l’adesione di tutti i soggetti, quello di valorizzare la ricchezza delle singole esperienze come risposta ai vari bisogni, «nel rispetto delle pluralità delle forme». Inevitabile pensare alle forme di accoglienza più strutturate, come l’adozione o l’affido, ma anche a iniziative più semplici di sostegno al disagio familiare, al mutuo aiuto tra famiglie, alle iniziative ordinarie di solidarietà che riguardano bambini, anziani e disabili. Perché l’orizzonte nel quale l’accoglienza familiare si sviluppa, ha sottolineato Marco Giordano, del Collegamento ecclesiale campano per la solidarietà familiare, è principalmente comunitario. Dove la comunità è intensa come "famiglia di famiglie" o, meglio, "come famiglie in relazione". «A Verona – ha fatto notare ancora Giordano, che anche presidente della federazione Progetto Famiglia e ha coordinato l’organizzazione del seminario – erano presenti oltre quaranta realtà territoriali. È stata unanime da parte di tutte la disponibilità ad impegnarsi con passione per accompagnare le famiglie ad aprire le porte di casa e del cuore ai bisogni di altre famiglie, bambini, anziani, immigrati». Contributi significativi sono anche arrivati dal vescovo di Acireale, Antonino Raspanti – che ha riletto in chiave solidale le cinque vie del nuovo umanesimo secondo la declinazione del convegno ecclesiale di Firenze – da Matteo Zappa della Caritas ambrosiana e da don Cristiano Marcucci, direttore diocesano per la pastorale della famiglia della diocesi di Pescara, che ha approfondito il significato dell’accoglienza alla luce del Sinodo sulla famiglia e dell’Anno della misericordia.
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