martedì 28 settembre 2010
La denuncia del sociologo Donati: welfare ormai obsoleto. Subito un Piano nazionale nel segno della sussidiarietà. A Bologna ieri e oggi l’ultimo incontro di preparazione in vista della Conferenza nazionale di Milano (8-10 novembre). Confronto tra gli interventi dei vari Paesi.
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Il lungo inverno demografico del vecchio continente ( in particolare dell’Italia) potrà finire solo se, finalmente, si attiveranno politiche familiari alternative alle attuali forme di welfare, obsolete e ideologiche. Questa la sfida lanciata ieri a Bologna da Pierpaolo Donati, direttore scientifico dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, che ha promosso un Seminario (oggi la sessione conclusiva) sullo stato dell’arte in Europa con l’intento di dare un proprio originale contributo alla prossima conferenza nazionale in programma a Milano dall’8 al 10 novembre. Donati riassume così la sua proposta: «Come l’Europa ha già una gamba, quella del gender e delle pari opportunità, sulla quale si stanno investendo risorse, azioni e  programmi occorre che la Ue si doti di un’altra gamba, un family mainstreaming che abbia la stessa dignità e lo stesso peso». Senza questa scelta di campo l’aria nuova che si respira in Europa sulla famiglia rischierebbe di essere velleitaria. Anche perché i problemi non mancano. «Gli interventi – sintetizza il sociologo – sono in genere frammentari e opportunistici. In qualche caso la famiglia non più è oggetto delle politiche che la dovrebbero riguardare direttamente». I fenomeni che registriamo, «aumento dei single, delle famiglie senza figli, della monogenitorialità che si accompagna ad un calo dei matrimoni, sono dovuti proprio ad un deficit relazionale. Ovvero osserviamo che in Europa c’è un progressivo indebolimento delle reti parentali insieme a una perdita del capitale sociale rappresentato dalla famiglia». «Notiamo – spiega Donati – che nei paesi dell’Ue c’è un bisogno insoddisfatto di famiglia perché i governi continuano a considerarla un costo (e quindi un rischio), un vincolo (e non una risorsa)». Il rimedio suggerito da Donati è radicale. «Serve un welfare comune all’Unione europea che aumenti i beni relazionali della famiglia. Che non è solo un luogo di cura e non solo una realtà anagrafica ma ha una sua specificità: quella generativa». Mai più allora il modello scandinavo "lib-lab" ma una politica ad hoc che abbia come mission il "fare famiglia" ovvero «il creare le condizioni perché sia possibile generare e rigenerare i beni relazionali». Una ricetta che riguarda da vicino anche l’Italia dove, secondo il sociologo, «le politiche familiari sono deboli e dove chi si prende la responsabilità di una famiglia rischia l’anticamera della povertà perché, ad esempio, paga più tasse dei single e di chi non ha figli». In questo vuoto, osserva ancora «sono emerse tante iniziative locali, dal microcredito al quoziente familiare, ma sono ancora insufficienti e talvolta inefficaci». Per cambiare rotta, è la conclusione di Donati, ci vuole un Piano nazionale nel segno della sussidiarietà e della solidarietà che restituisca cittadinanza sociale alla famiglia ponendosi come obiettivo, tra gli altri, una valutazione dell’impatto familiare dei provvedimenti legislativi. Politiche lungimiranti e flessibili che più di altre, come ha ricordato Barrie Stevens dell’Oecd nella relazione introduttiva  sugli scenari fino al 2030 «possono avere successo, più di altre, per affrontare sfide come la conciliazione famiglia-lavoro, la coesione sociale, il ruolo degli anziani nella famiglia».
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