venerdì 29 ottobre 2010
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C'è un diritto naturale, all’amore dei propri genitori. Ma in tempi di aridità affettiva, oltre che economica, ribadire il concetto sul piano civile può fare la differenza. Così, nel disegno di legge che sarà presentato oggi in Consiglio dei ministri in materia di politiche familiari, comparirà per la prima volta la parola “amore”. Perché un figlio, recita espressamente il testo, ha sì diritto «ad essere mantenuto, educato e assistito moralmente dai genitori nel rispetto delle sue capacità, delle inclinazioni naturale e delle aspirazioni», ma ha parimenti il diritto ad essere «amato».Il termine entra così a pieno titolo nel Codice civile, in particolare all’articolo 135 sulla filiazione, cui il ddl propone di apportare modifiche. Su tutte, quella del concetto di patria potestà, che in questo caso si carica di un significato affettivo e culturale piuttosto inedito al diritto positivo. Un amore, quello verso i figli, che comporta almeno tre “corollari” fondamentali.Primo, che il loro diritto a una famiglia è prioritario: concetto che cambia radicalmente quello di “abbandono del minore”, da intendersi ora come quella «mancata assistenza che abbia comportato un’irreparabile compromissione della crescita del minore» anche quando chi esercita la patria potestà sia «in condizioni di indigenza». In una parola: nemmeno la povertà può mettere in discussione il dovere a educare e amare i propri figli.Secondo, che tutti i figli vanno amati e tutelati allo stesso modo: diritto che inserisce nel testo di legge la modifica più importante, vale a dire «l’equiparazione dei figli naturali e di quelli legittimi sul piano giuridico». Sia che nascano all’interno di un matrimonio sia fuori (il 20% delle nascite, secondo gli ultimi dati dell’Istat), per la vita concreta dei figli non fa più alcuna differenza: i figli naturali diventano «parenti dei parenti dei genitori» (compresi i nonni), prefigurando così anche nuove modalità di rapporto, sul piano giuridico, fra questi ultimi e i nipoti. Proprio su questo punto, peraltro, ha insistito il sottosegretario con delega alle politiche familiari, Carlo Giovanardi, «perché toglie ogni forma di discriminazione per questi minori» e amplia i diritti dei figli anche in sede di successione (la cui disciplina, una volta approvato il provvedimento, dovrà essere adeguata), senza tuttavia ipotizzare nuove tutele per le coppie di fatto «che di tutele sul piano giuridico – ha ricordato lo stesso Giovanardi – ne hanno già».Terzo ed ultimo principio introdotto dal ddl, che i figli «se hanno discernimento, vanno ascoltati»: può essere la scelta della scuola come dell’attività sportiva, ma le loro opinioni «devono essere debitamente prese in considerazione – continua il ddl – , tenendo conto di età e grado di maturità».Nuovi doveri, dunque, per i genitori, e nuovi diritti per i figli, ma anche il contrario. La proposta in discussione al tavolo del governo – frutto del lavoro della Commissione per lo studio e le questioni giuridiche afferenti la famiglia e dei ministri per le Pari opportunità, della Giustizia e dell’Interno – prevede che anche la prole faccia la sua parte. Il figlio in particolare, «deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa». Un dovere, quello di partecipare attivamente alla vita in famiglia, che si traduce nel diritto degli stessi genitori ad essere sostenuti e – anche se in questo caso non viene così chiaramente esplicitato – amati.
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