martedì 5 aprile 2016
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Roma. Alla Commissione parlamentare d’inchiesta, che indagava sull’omicidio di Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin, disse, nell’ottobre del 2004 nell’ambito di una seduta secretata, che la testimonianza di Abdi, l’autista dei due italiani e principale accusatore di Omar Hashi Hassan, il miliziano somalo che ha scontato 16 anni per l’agguato, non era da prendere in considerazione in quanto proveniente da «soggetto non affidabile che farebbe qualsiasi cosa per sopravvivere». Adesso questa valutazione, diventata di dominio pubblico da alcune settimane perchè gli atti della Commissione sono stati desecretati, l’ex ambasciatore Giuseppe Cassini, il diplomatico italiano che svolse in Somalia i primi accertamenti sul duplice omicidio, è chiamato a ripeterla oggi davanti alla Corte d’appello di Perugia nella seconda udienza del processo di revisione della condanna a 26 anni di reclusione, sollecitato a più riprese dai difensori di Hashi Hassan, gli avvocati Douglas Duale e Antonio Moriconi. «In tutti questi anni – ha spiegato Duale – avevamo la forte convinzione che in carcere fosse stato mandato un innocente, assolutamente estraneo a quell’agguato. Hashi Hassan, assolto in primo grado, tornò appositamente dall’Olanda per seguire il suo processo d’appello. Venne condannato e arrestato a fine udienza perchè la Corte interpretò quella sua presenza in aula come un atto di sfida lanciato all’autorità giudiziaria italiana». Dopo le ultime rivelazioni, il capogruppo Pd in Commissione Giustizia alla Camera, Walter Verini, sottolinea: «Ci sono ora le condizioni perché il cammino della verità proceda». Il nuovo interesse per il caso «avviene – continua Verini – in concomitanza con lo svolgimento del processo di Perugia, che dovrà contribuire a smontare, anche giudiziariamente, il castello di depistaggi, complicità e connivenze anche di pezzi dello Stato, che allora lavorarono per impedire la verità sull’omicidio». © RIPRODUZIONE RISERVATA Ilaria Alpi, giornalista uccisa in Somalia
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