sabato 17 dicembre 2022
Secondo gli inquirenti Belgi i rapporti furono attivati a partire dal 2011, ma l'ex dem fu attivo nello sviluppare un'«organizzazione fraudolenta». I dispacci da Rabat
Antonio Panzeri, indagato in Belgio, quando era europarlamentare

Antonio Panzeri, indagato in Belgio, quando era europarlamentare - Fotogramma

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Anima di una «organizzazione fraudolenta». Il giudice istruttore belga Michel Claise, che dirige le indagini sul cosiddetto Qatargate, definisce così l’ex eurodeputato Pd (poi Articolo 1) Antonio Panzeri, in carcere a Bruxelles. Lo si legge nel mandato di arresto europeo trasmesso alle autorità italiane e notificato anche alla moglie e alla figlia di Panzeri, Maria Colleoni e Silvia Panzeri, ora ai domiciliari in Lombardia. Panzeri, scrive il magistrato, «sembra aver sviluppato e animato un'organizzazione fraudolenta», caratterizzata da una «natura complessa, organizzata e ripetitiva (di fatti corruttivi, ndr)», di cui l'imputato «sembra aver consapevolmente preso parte».

Intanto le testate belghe Le Soir e Knaak hanno diffuso ulteriori rivelazioni, incentrate sulla pista “complementare” del Marocco. Già nel mandato d’arresto del 9 dicembre scorso, Claise afferma che il sospetto è che Panzeri «sia intervenuto politicamente presso membri del Parlamento Europeo a vantaggio del Qatar e del Marocco dietro compenso». Intercettazioni telefoniche portano gli inquirenti belgi sulle tracce anche di Maria Colleoni e Silvia Panzeri, che avrebbero partecipato di persona al trasporto dei «regali» ricevuti dall’ambasciatore del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, amico di Panzeri.

Secondo i due giornali, la vicenda inizierebbe già nel 2011. Viene citata una «nota urgente» inviata a Rabat (la capitale) nell’ottobre di quell’anno dalla missione del Marocco presso l’Ue, con l’indicazione che «a margine della sessione plenaria del Parlamento Europeo a Strasburgo» un rappresentante della missione avrebbe avuto un «colloquio informale» con un assistente di Panzeri, il quale sarebbe stato latore di un messaggio «all’attenzione delle autorità marocchine».

Obiettivo: preparare una missione nel Paese nordafricano di Panzeri (allora presidente della delegazione per il Marocco del Parlamento Europeo) prevista due settimane più tardi. Missione che prevedeva anche la visita di un campo rifugiati sarahoui (provenienti cioè dal Sahara occidentale, che rivendica la sua indipendenza dal Marocco): «Tappa necessaria – afferma il giudice – per confortare la credibilità di Panzeri presso l’Algeria e Polisario (i militanti per l’indipendenza del Sahara Occidentale, ndr)».

Nel 2013, un altro dispaccio della missione del Marocco presso l’Ue afferma che la rappresentanza diplomatica intende «coordinare bene la sua azione con il presidente della delegazione per il Maghreb al Parlamento Europeo, Antonio Panzeri, amico del Marocco, per ridurre i danni che potrebbe causare il progetto Tannock», in riferimento all’allora eurodeputato britannico Charles Tannock, di orientamento pro-Polisario, che stava preparando un rapporto sui diritti umani nel Sahara occidentale.

La vera «svolta» arriva però, scrivono ancora Le Soir e Knaack, nel 2019. Anno in cui Panzeri non viene rieletto nel Parlamento Europeo. Dalle deposizioni del suo ex assistente Francesco Giorgi, anche lui ora in carcere, emerge che a quel punto Panzeri, «in difficoltà», avrebbe stretto un patto segreto con la Dged, i servizi marocchini per l’estero.

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