venerdì 26 maggio 2023
Il 19enne romano per anni è stato isolato dai docenti e incompreso dai compagni a causa dei suoi disturbi dell'apprendimento. Il genitore: «Si sentiva diverso anche alle elementari Montessori»
E Marco, dislessico, si sfogò con il padre: «Odio la scuola»
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DSA. Con questa scritta in maiuscolo, apposta sotto al nome, alcuni registri elettronici "marchiano" gli studenti che presentano disturbi specifici dell'apprendimento. Serve a ricordare ai docenti che con quegli alunni bisogna adottare piani didattici personalizzati. Di fatto, diventa spesso un promemoria per trattarli diversamente dai compagni o - peggio - come pratiche da archiviare in fretta. Marco (il nome è di fantasia, ma la storia è reale) si è sentito per anni un corpo estraneo fra i banchi di scuola. In realtà, è un semplice ragazzo romano di 19 anni, che fra poco meno di un mese affronterà la maturità classica. Oggi è felice di studiare filosofia e di frequentare i propri compagni, grazie al continuo supporto della famiglia e all'impegno dei suoi attuali docenti. Ma non è sempre stato così. Per anni, ha vissuto come una condanna la sua condizione: dislessico, discalculico, disgrafico e disortografico.
Il suo travaglio è cominciato alla primaria. «Da bambino ha frequentato le scuole elementari Montessori, molto attente sulla carta - racconta il padre Luigi - ma anche là è stato creato un banco differenziato rispetto agli altri e Marco ha iniziato a sentire la propria diversità». Il piccolo scolaro mostrava le prime difficoltà nel calcolo e nella scrittura. E, assieme a lui, anche i genitori iniziavano a preoccuparsi e a dialogare con le maestre.
Poi, fu la volta delle medie. Dove Marco si sentiva sempre più isolato e in competizione con i propri compagni. Al termine dei 3 anni, arrivò il momento della scelta sulla scuola superiore e gli psicologi del suo istituto proposero allo studente un questionario dagli esiti preoccupanti. «Risulta che il bambino odia la scuola. Ha lasciato basiti noi e i docenti», spiega il padre.
Ma Marco aveva le idee già chiare sul proprio futuro: si sarebbe iscritto al classico. Eppure, già al primo anno, le declinazioni da imparare a memoria sembravano uno scoglio insormontabile. Per il padre Luigi, invece, il greco e il latino furono la scintilla per chiedere una diagnosi sul figlio. «Ci sarebbe voluto almeno un anno per ottenerla - racconta - ma con 300 euro pagati a una struttura privata sono bastati 15 giorni». Da quel momento si aprì un nuovo percorso fatto di dialogo con i docenti, incontri con gli psicologi e molti acronimi: Pei, piano educativo individualizzato, Pdp, piano didattico personalizzato, etc.
Il padre iniziò a portare Marco tutti i sabati a Bologna dal gruppo di lavoro Anastasis, specialista nel trattamento di DSA. I docenti, dal canto loro, non sempre riuscivano a comprendere i bisogni dello studente. «Inclusione non vuol dire dare la calcolatrice, magari negandola al resto della classe, ma cercare una didattica inclusiva», commenta Luigi. Nel frattempo, nel mondo interiore del ragazzo, il disagio cresceva assieme alla sensazione d'essere escluso. Marco iniziò a entrare in gruppi politici studenteschi gridando ai docenti le proprie angosce. In breve, l'ambiente in classe diventò opprimente al punto da costringere il padre a chiedere al preside di cambiare sezione. La richiesta non fu accolta e al quarto anno, non senza difficoltà, lo studente cambiò scuola.
Da allora, tutto va per il meglio. «Nel nuovo istituto abbiamo trovato diversità di pensiero e Marco è rinato: per fare un esempio, a scuola ha raccontato dei suoi problemi amorosi e il professore di filosofia lo ha preso da parte facendogli una lezione su quello che sta vivendo». Oggi il 19enne ha ritrovato il coraggio di coltivare le proprie ambizioni: vuole studiare legge, ma è indeciso se farlo all'Università o nell'Arma dei carabinieri. Nel frattempo, il pensiero del padre va ai genitori che ancora si confrontano con questi disagi: «Purtroppo il successo formativo è spesso legato alla casualità. La gran parte dei docenti pensa di interpretare al meglio la legge 170 (la norma che regolamenta i Dsa, ndr), nel nostro caso abbiamo notato che in molte circostanze questo non era del tutto esatto rendendo i piani personalizzati pura burocrazia».

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