mercoledì 23 ottobre 2019
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo dell'ordinamento penitenziario che non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia
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È arrivata l’attesa sentenza della Corte costituzionale in materia di ergastolo ostativo. Ed è una decisione di segno nuovo, che supera la posizione assunta dalla Consulta nel 2003. I giudici, riunitisi in Camera di Consiglio, hanno sancito l’illegittimità costituzionale dell’«articolo 4 bis, comma 1, dell’ordinamento penitenziario», nella parte in cui «non prevede la concessione di permessi premio in assenza di collaborazione con la giustizia» anche se «siano stati acquisiti elementi tali da escludere l’attualità della partecipazione all’associazione criminale» e «il pericolo del ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata».

Il permesso, precisa una nota della Consulta in attesa del deposito della sentenza, dovrà comunque essere valutato se «il condannato abbia dato piena prova di partecipazione al percorso rieducativo». Si è dunque deciso di accogliere le questioni sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di sorveglianza di Perugia rispetto alla legittimità dell’articolo 4 bis, là dove impedisce che (per alcuni reati gravissimi, compresi mafia e terrorismo) siano concessi permessi premio ai condannati che non collaborano con la giustizia. A interpellare la magistratura sono stati gli avvocati di due ergastolani, Sebastiano Cannizzaro e Pietro Pavone, ai quali è stato negato l’accesso ai permessi in quanto «non collaboranti».

Valutare caso per caso. La sentenza della Corte non è da intendersi in senso estensivo, poiché i giudici hanno sottratto la concessione del solo permesso premio alla generale applicazione del meccanismo "ostativo". In ogni caso, comunque, la presunzione di "pericolosità sociale" del detenuto non collaborante non è più assoluta, ma diventa relativa e quindi può essere superata da una decisione del magistrato di sorveglianza. La sua valutazione, da effettuare caso per caso, dovrà basarsi sulle relazioni del carcere, nonché su informazioni e pareri di varie autorità (dalla Procura antimafia e antiterrorismo al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza).

Bonafede: uffici al lavoro. La decisione della Consulta arriva a due settimane da quella della Corte europea dei diritti dell’uomo, che aveva censurato l’ergastolo ostativo («Trattamento inumano») e chiesto all’Italia di modificare la legge. Ieri, dopo la pronuncia della Consulta, il Guardasigilli Alfonso Bonafede ha chiesto ai suoi uffici di analizzarne le possibili conseguenze: «La questione ha la massima priorità» ha detto. Nella maggioranza il Pd, con Alfredo Bazoli, ritiene che «la politica debba intervenire rapidamente con modifiche mirate». Dall’opposizione, la Lega insorge. E Forza Italia, con Anna Maria Bernini, si chiede se non si rischi «di vanificare anni di lotta alla mafia».

Le associazioni e i pm antimafia. Le associazioni impegnate nelle carceri esultano: «È una breccia nel fine pena mai», commenta Nessuno Tocchi Caino. Favorevoli pure gli avvocati dell’Unione camere penali: «Si cancella un principio orrendo, il carcere senza speranza». Ma alcuni ex pm antimafia avanzano timori. Per il consigliere del Csm Sebastiano Ardita «sta al Parlamento impedire che l’eccezione diventi regola. E dovremo aspettarci una prevedibile pressione delle mafie sui magistrati di sorveglianza». Più critico un altro membro del Csm, Nino Di Matteo: «Si apre un varco potenzialmente pericoloso». Non la pensa così invece Armando Spataro, già procuratore di Torino e ora in pensione, che parla di un pronunciamento «condivisibile, che non introduce alcun automatismo» e che rispetta i «principi fondamentali sottesi alla finalità di recupero di ogni detenuto. Spero che non si parli di un regalo alla mafia».

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