mercoledì 6 marzo 2013
Con due risoluzioni pubblicate il 4 marzo il ministero dell'Economia ha chiarito alcuni aspetti controversi delal tassazione sugli immobili delle organizzazioni senza fini di lucro. ​
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​Il comodato fa salva l’esenzione Imu. È questa la sintesi di uno dei due importanti interventi interpretativi resi pubblici in settimana dal ministero dell’Economia.Sopiti i clamori mediatici il ministero coglie con due Risoluzioni datate 4 marzo altrettante gemme tra le pieghe delle norme che disciplinano il faticoso rapporto tra Imu ed enti non profit. Si tratta, tra l’altro, di interpretazioni autentiche che si incastonano in modo efficace nel contesto reale. La prima riguarda il caso, frequente, degli immobili di proprietà degli enti non profit concessi in comodato ad altre organizzazioni del terzo settore per lo svolgimento di attività meritevoli. Come abbiamo anticipato l’esenzione in questi casi è salva. Sono la natura reale del contratto di comodato e la sua non onerosità a consentire al ministero di affermarlo in modo ben argomentato. Restano ovviamente imponibili, come dicono ormai da tempo Corte Costituzionale e Cassazione con il conforto delle norme, gli immobili locati. L’affitto rappresenta d’altronde un reddito di fonte patrimoniale ed una manifestazione di ricchezza che è oggettivamente incompatibile sia con la disciplina generale che con gli obiettivi che le norme sull’esenzione dall’Imu tutelano. L’esenzione, non ci stanchiamo di ricordarlo, non è affatto un antipatico privilegio aristocratico frutto di chissà quali loschi mercanteggiamenti. È il più che giusto riconoscimento del valore sociale apportato disinteressatamente da una platea variegata di soggetti in settori particolarmente delicati della vita di ciascuno di noi. È la crisi in atto a ricordarci quanto sia importante l’intervento privato per trovare a tariffe ragionevoli, per esempio, posto per i nostri anziani in una casa di riposo o per i nostri figli in un asilo nido. Se lo Stato, le Regioni ed i Comuni continuano a retrocedere rispetto alla loro già carente offerta di welfare è bene che ci teniamo tutti stretti il contributo del privato sociale. E non è neppure una questione ecclesiale, di carità pelosa, come qualcuno ha interesse a far credere. Ma di sensibilità e di opportunità nel senso più laico del termine. Se lo Stato retrocede e i bisogni non diminuiscono, anche quelli educativi degli adolescenti per citare un altro caso paradigmatico, non ci aspettiamo certo che siano il mercato e la concorrenza a risolvere i problemi. Anche a volerci credere lo farebbero a tariffe molto più alte di quelle che pratica oggi il non profit.È il carattere non lucrativo l’elemento che, esprimendosi in positivo in termini di umanizzazione e attenzione ai bisogni tutelati, la vera garanzia per tutti che l’esenzione ritorni moltiplicata nelle nostre tasche. Ed è a questo secondo tema – quello delle garanzie poste a presidio della non lucratività – che è dedicato il secondo intervento del ministero. Come molti ricorderanno in sede regolamentare è stato infatti previsto che nel caso non lo facciano già gli statuti, com’è per esempio per gli enti ecclesiastici, le organizzazioni destinatarie dell’esenzione si debbano uniformare a tali garanzie attraverso un regolamento. Ebbene, il termine del 31 dicembre 2012 non è perentorio. L’adozione del regolamento può in sintesi anche essere successiva.L’occasione è utile per il ministero per chiarire in chiosa che la distribuzione interna, sempre tra attività meritevoli, di avanzi di gestione è senz’altro lecita così come lo è in caso di scioglimento la devoluzione del patrimonio, quello accumulato dopo l’adozione del regolamento aggiungiamo noi, ad attività affini, omogenee o di sostegno. Anche questa precisazione è importante perché, speriamo, potrà dissipare i timori, oltre a qualche falso mito, sorti nel dibattito più tecnico degli operatori.

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