martedì 6 ottobre 2015
Riparte l’impegno di "Mettiamoci in gioco". Enti locali e associazioni «Basta spot sull’azzardo». Il portavoce nazionale, don Zappolini: è il momento di centrare il primo obiettivo sulla strada della legge quadro.
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«Per spegnere un incendio petrolifero è inutile versare acqua, sarà meglio chiudere le valvole del pozzo. E così, per indebolire l’efficacia aggressiva del gioco d’azzardo, cominciamo col vietarne la pubblicità. Avremo centrato un obiettivo prioritario nella più ampia strategia tesa a stanare i politici che non vogliono una legge quadro anti-azzardo». Don Armando Zappolini è «un povero prete toscano» a cui piace parlare chiaro. E di fronte alle tortuose prese di posizione di una politica più "sensibile" alla lobby del gioco che alle necessità di 800mila italiani «compulsivi o patologici», utilizza una metafora per illustrare l’impegno che la Campagna nazionale "Mettiamoci in gioco" – di cui è portavoce nazionale – rilancia da Milano, in occasione della convocazione degli "stati generali" del movimento. Perché gli statuti comunali, i piani del territorio, i regolamenti locali, rischiano di costituire solo una terapia palliativa senza un provvedimento legislativo netto.Tenere alta l’attenzione sul tema, rafforzare l’unità e la presenza sul territorio delle 32 sigle che sostengono la Campagna, fare sinergia con l’intergruppo parlamentare che ha a cuore la sorte di persone e famiglie drammaticamente investite dal problema, è una «questione centrale e inderogabile», afferma il sacerdote. Come quello di far rientrare effettivamente nei Livelli essenziali di assistenza le cure per chi è più a rischio. Dunque, auspica, il presidente del Conagga (Coordinamento nazionale gruppi per giocatori d’azzardo), Matteo Iori, serve far ripartire l’iter parlamentare per arrivare a «una legge unica di iniziativa parlamentare che regoli il gioco, la sua offerta, le norme fiscali, la lotta alle infiltrazioni mafiose e al riciclaggio, i finanziamenti per cure e prevenzione, le modalità di tutela delle fasce sociali fragili». Non c’è più tempo: per il sociologo Maurizio Fiasco «il gioco illegale non ha estirpato quello illegale». Anzi, «i due mercati non sono separati, non entrano in concorrenza», ma «si potenziano reciprocamente». Dati alla mano, Fiasco afferma che «una parte importante di risorse legate al comparto dell’azzardo sfugge al controllo dello Stato in tante province, soprattutto dove la presenza della criminalità organizzata risulta invasiva».Del resto, sottolinea dagli Usa – dove illustra il "fenomeno italiano" – l’economista Leonardo Becchetti, «la criminalità ha occupato uno spazio largo pari alla stessa offerta formalmente legale». L’ampliamento del mercato pubblico dell’azzardo «ha incentivato l’occupazione di nuovi spazi da parte della criminalità». E questo, «manomettendo le slot autorizzate, alterando o cancellando i movimenti dei soldi, non versando le tasse allo Stato e non pagando le percentuali prefissate di premi ai giocatori». Già, i giocatori; i loro problemi, le loro fragilità sono bene illustrate dallo psichiatra Vincenzo Marino: «Il ricorso al gioco d’azzardo patologico – evidenzia – rivela anche un malessere culturale e sociale». I giochi «che innescano maggiormente la dipendenza – aggiunge – sono quelli dove il lasso di tempo tra il rischio e la ricompensa è più breve, quelli più facili da trovare» e nei quali «non si incorre nella riprovazione sociale». Molto incide, su queste persone, il potere della pubblicità, le cui distorsioni e il cui potere persuasivo, sono l’oggetto della riflessione del media educator Michele Marangi. Per "Mettiamoci in gioco" lo stop agli spot è l’obiettivo numero uno.
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