mercoledì 21 maggio 2014
Il bilancio di un intervento straordinario. Don La Regina: una mobilitazione che ha riaggregato le comunità.
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La terra tremava giusto due anni fa, nella Bas­sa. Era la prima di due scosse micidiali di 5,9 gradi Richter che avrebbero abbattuto abi­tazioni, chiese, centri storici, capannoni nel «cra­tere », la bassa Modenese, nel Reggiano, nel Bolo­gnese e nel Ferrarese, nel Mantovano e nel Rovigi­no. La zona a sud del Po, tra la via Emilia e il West, dove l’ha collocata per sempre Francesco Gucci­ni, non era considerata a rischio perché era dal 1570 che non vedeva sismi, tutt’al più piene, ep­pure avrebbe conosciuto terrore e morte dopo nep­pure 10 giorni, il 29 maggio 2012. In tutto moriro­no 28 persone, 45 mila furono sfollati, i danni am­montarono a oltre 13 miliardi di euro in un’area ricca che da sola, tra industria e agroalimentare, produceva il due per cento del Pil italiano. Il terre­moto colpì il cuore produttivo italiano, scrisse qual­cuno. Di certo cambiò la psicologia della gente. Oggi 15mila persone, un terzo degli sfollati, sono ancora fuori casa, ospiti di parenti o in alloggi sfit­ti trovati dalla regione, mentre 1.800 - i più fragili, molti dei quali immigrati - si trovano ancora nei moduli abitativi provvisori, grazioso sinonimo di container, a Mirandola, Cavezzo, Concordia, San Possidonio, Novi, San Felice e Cento. Ieri è passa­to il Giro da queste parti per ricordare la tragedia. La Caritas italiana arrivò subito dopo la prima scos­sa e promise la vicinanza della Chiesa. La ribadì pa­pa Benedetto durante la sua visita del 26 giugno 2012.Promesse mantenute. Oggi le comunità, no­nostante le difficoltà, tornano a vivere anche gra­zie all’apporto dei volontari e ai gemellaggi tra dio­cesi e parrocchie, secondo il modello messo a pun­to negli anni dalla Caritas che prevede campi di la­voro e la costruzione di centri di comunità, strut­ture polifunzionali per attività liturgiche, sociali e ricreative. Dove ad esempio celebrare le funzioni religiose, fare scuola e aggregazione. In tutto ne so­no stati costruiti 17, l’ultimo inaugurato a novem­bre. «Anche in questa emergenza – ricorda don Andrea La Regina, responsabile dell’ufficio macroproget­ti della Caritas italiana, tracciando un bilancio – la mobilitazione della rete Caritas è stata immedia­ta. La Cei ha stanziato tre milioni di euro per far fronte ai bisogni immediati e attivare i gemellaggi. Ammontano a 10,7 milioni di euro le offerte per­venute alla Caritas italiana che, d’intesa con le realtà colpite, ha avviato la realizzazione di 17 centri di comunità secondo quattro tipologie, da 150 a 330 metri quadrati in riferimento alla popolazione e alle parrocchie coinvolte. Hanno lo scopo di riag­gregare e rafforzare il tessuto sociale dando alla co­munità cristiana la forza di uscire dalle sacrestie. Mi pare che l’obiettivo sia stato centrato». Centinaia di volontari provenienti da tutta Italia si sono alternati nei turni organizzati dal Coordina­mento regionale della delegazione delle Caritas  diocesane dell’Emilia Romagna, coinvol­gendo 185 parrocchie e 17 zone pastorali. I percorsi proseguono su due binari: la for­mazione dei volontari che stanno aiutando le famiglie in difficoltà e progetti per dare lavoro temporaneo alle persone più fragili. Per la Caritas questi territori, pur con le criticità del dopo sisma che si sommano a quelle della crisi ecomomica, stanno ripartendo. «Purtroppo la burocrazia – prosegue don La Regi­na – è complessa quando deve stimare i danni e concedere permessi per ricostruire. Però si è in­staurato un buon rapporto con le istituzioni. La re­gione Emilia Romagna, in particolare, sta gesten­do i fondi europei per la ricostruzione destinati a case, aziende e alle chiese di importanza storica». Più della metà delle risorse stanziate (quasi 5 miliardi di euro) è stata impegnata nei progetti di ricostruzione, gli edifici ricostruiti sono 1.572 e il 90% dei 6.345 progetti presentati sono stati approvati e finanziati. Le imprese della Bassa sono già tornate a produrre. I lavoratori in cassa integrazione, inizialmente 40mila, oggi sono 215. Ma le altre ferite sono più dure da guarire e nessuno ha scordato la prima, grande scossa che ribaltò la terra e le certezze di tanti tra la via Emilia e il West.
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