venerdì 8 gennaio 2016
Dopo il sisma gran parte delle famiglie è tornata in una casa. I numeri chiudono le polemiche. «Ok il patto tra enti locali». (Paolo Viana)
«Ma adesso restituiteci le chiese»
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Gloria Bulgarelli ha l’ufficio che dà sui container. «Vede quel pezzo di prato? Un mese fa lì c’erano cinque Map e tra due settimane – ci assicura – ne levo un’altra stecca. Oh, sia chiaro che non sfrattiamo nessuno, ma la gente ha diritto a riavere la sua casa. Anche se per alcuni sarà dura trovare un affitto concordato. Ufficialmente sono disoccupati ». Ufficialmente? «A noi risulta così, poi li vedo anch’io uscire ogni mattina e rientrare ogni sera ma non posso mica sapere dove vanno, se lavorano in nero, no?». Strizza gli occhi azzurri e apre un faldone enorme.  «Alcuni sono assistiti storici e per loro il terremoto ha significato rinascere, perché prima non erano monitorati mentre adesso il loro reinserimento sociale è un percorso ben monitorato». Non a caso gli sfollati che occupano ancora i moduli abitativi provvisori sono gestiti da questa funzionaria dei servizi sociali che non si ferma mai e che ci fa cenno di passare oltre, non appena alludiamo al comitato Sisma 12, che racconta una ricostruzione ben diversa. Tra chi ha gestito il 'modello Errani' c’è irritazione per quei giudizi fuori dal coro: davanti alle telecamere di Sky, Sandro Romagnoli, portavoce del comitato, qualche giorno fa ha insistito sul fatto che centinaia di terremotati vivono ancora nei container, che migliaia di cittadini non sono ancora rientrati in casa, che gli immobili da ricostruire aumentano anziché diminuire, che i danni leggeri non saranno pagati dallo Stato, che il contributo non copre tutti i lavori eppure il proprietario non può decidere come ristrutturare la propria casa… insomma che «la burocrazia soffoca la rinascita, ci sono troppi trattamenti ad personam e la ricostruzione raccontata è ben diversa da quella reale». Non è la prima polemica sulla ricostruzione, anche in Emilia, dove la scelta di gestire la partita del terremoto attraverso un patto tra le istituzioni regionali e comunali (il cosiddetto modello Errani) ha funzionato, soprattutto se paragonato alla situazione dell’Aquila. In Emilia, a quasi quattro anni dalle scosse che nel maggio del 2012 fecero 27 morti e 350 feriti, provocando un danno stimato di 13 miliardi, finora, ne sono stati spesi 6 per la ricostruzione e fuori casa sono rimaste 3.613 famiglie (quattro anni fa erano 19mila), 1.579 delle quali ricevono un contributo per l’affitto, 1.312 il contributo per il disagio abitativo (sono ospitate da parenti o amici), 232 sono alloggiate nei prefabbricati abitativi e 216 in prefabbricati rurali, mentre 274 vivono in alloggi procurati dai Comuni. Inizialmente, risultavano inagibili circa 14mila edifici: ad oggi sono aperte 8.462 pratiche di ricostruzione che comprendono 17mila abitazioni e riguardano 27mila abitanti (una pratica può riguardare diversi appartamenti, sono esclusi i danni lievi ma sono incluse le seconde case purché il proprietario si impegni ad affittarle a canone concordato); i cantieri conclusi sono 3.650. Per la ricostruzione privata (abitazioni e immobili di imprese dell’area colpita nei 58 Comuni emiliani del cratere sismico) sono stati spesi oltre 1,1 miliardi dei quasi 2,5 già concessi. Quanto alle aziende, le domande di contributo (che copre anche impianti e scorte) sono 3.678: sono già stati concessi 977 milioni e liquidati 409; l’Inail ha messo a disposizione 74 milioni per aumentare la sicurezza dei capannoni industriali; ne sono stati assegnati 26,5 a 787 imprese. Per i monumenti civili e religiosi sono disponibili 1,1 miliardi, ma questi cantieri vanno molto più a rilento. Per tornare ai container, bisogna ricorda che la Regione si è impegnata a chiudere questo capitolo entro il 2016 e che in un anno li ha più che dimezzati: le famiglie ospitate sono passate da 468 a 180 (da 1440 persone ospitate a 550) e 145 hanno chiesto di restarvi in attesa di rientrare nella casa restaurata. Non si sa che fare, dunque, per una trentina di famiglie, ma il problema riguarda le politiche sociali più che l’ufficio tecnico: «La ricostruzione parte dalle persone» sintetizza l’assessore Loretta Tromba e il suo collega Roberto Ganzerli, responsabile della ricostruzione, ricorda che a Mirandola «le persone assistite nel 2012 erano oltre 9.000 mentre a dicembre erano 967».
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