venerdì 20 maggio 2016
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Ci mancava la legge 40. Dopo la norma sulle unioni civili (approvata) e quelle sul fine vita (in corso le audizioni alla Commissione affari sociali della Camera), l’eutanasia (iniziata la discussione a Montecitorio nelle commissioni riunite giustizia e affari sociali) e le adozioni (avviato l’iter in Commissione giustizia sempre alla Camera, con ipotesi di apertura alla discussa stepchild), ora si parla apertamente di rimettere mano alla legge sulla procreazione medicalmente assistita, che nei 12 anni trascorsi dall’approvazione ha occupato le cronache con sentenze di tribunali, interventi della Corte Costituzionale, dibattiti politici e scientifici a non finire, e pure un arroventato referendum popolare. Ora si parla di riscriverla daccapo. Non proprio quel che ci voleva, se si desidera procedere per tappe condivise nelle riforme di cui il Paese ha bisogno. L’intento di cambiare la legge 40 passando per una profonda revisione è stato annunciato mercoledì da Donella Mattesini, senatrice aretina del Pd, che presentando il rapporto Censis-Ibsa sulle coppie italiane impegnate in cicli di fecondazione artificiale ha dichiarato che «da giugno cominceremo a lavorare sul nuovo testo per la revisione della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita e daremo avvio alle audizioni in Commissione sanità del Senato», della quale fa parte. Un progetto condiviso da Filomena Gallo, segretario dell’associazione radicale Luca Coscioni, perno del fronte che della legge 40 aveva tentato l’eliminazione con i quattro referendum (persi) del 12 giugno 2005. Ma una revisione della legge 40 è davvero necessaria? Le sentenze della Corte Costituzionale che l’hanno alterata in punti nevralgici sono quattro: nel 2009 la n.151 tolse il divieto di creare un massimo di tre embrioni e di impiantarli in un’unica soluzione aprendo al congelamento di quelli avanzati; nel 2014 la n.162 eliminò il divieto di fecondazione eterologa; l’anno dopo la n.96 ha aperto il concepimento in provetta anche a coppie fertili ma portatrici di anomalie genetiche; e nello stesso 2015 la n.229 ha infine aperto alla possibilità di selezionare gli embrioni prima dell’impianto in utero. C’è chi sostiene che queste sentenze (i verdetti dei tribunali ordinari si occupano invece di casi di specie) renderebbero necessaria la riscrittura della 40. E approfittando del movimento legislativo su tutto il fronte dei temi sensibili prova ad aprire anche il dossier-provetta, potenzialmente deflagrante. Il momento non sembra scelto a caso: nei due rami del Parlamento risultano infatti depositati da tempo ben 13 progetti di legge, e quello a firma Pd (prima firmataria Grazia De Biasi, relatrice proprio Donella Mattesini) fu presentato il 23 settembre 2014, ma sinora l’ipotesi di metterlo in discussione per arrivare a un testo-base era rimasta sospesa. «Nessuna volontà divisiva, anzi – tranquillizza la relatrice –: ci sono problemi seri da affrontare, come la prevenzione della sterilità e il supporto a quel 20% di coppie che desiderano figli ma non riescono ad averne: la denatalità è il problema principale da affrontare. Va garantito il diritto alla genitorialità, ma resta fermo il no alla maternità surrogata». Scorrendo il disegno di legge del Pd, che ricalca la struttura dell’attuale legge 40, spiccano tuttavia tre novità rilevanti: la scomparsa all’articolo 1, tra «tutti i soggetti coinvolti» titolari di «diritti e tutele», del concepito, oggi invece esplicitamente citato; l’eclissi all’articolo 5, tra i «requisiti soggettivi» per l’accesso alla fecondazione assistita, del fatto che le coppie siano «di sesso diverso»; e la legalizzazione della ricerca sugli embrioni crioconservati e abbandonati (articolo 13). «È ancora una bozza, non è stato neppure stabilito un calendario delle audizioni », frena Mattesini. Ma già si leva più di un altolà dalla maggioranza: «Non si pensi di toccare la legge 40 e di poter contare sul nostro appoggio – scandisce Paola Binetti (Area popolare) –. Tutte le volte che è stata cambiata dai giudici si sono creati più problemi di quelli risolti, come mostra il caso Antinori. La legge conserva ancora una sua coerenza, che va semmai chiarita in sede applicativa sui punti diventati incerti». Concorda Lucio Romano (Autonomie), che al Senato siede proprio nella Commissione Sanità: «Non si deve riscrivere la legge ma rimettere in ordine le materie non più chiare – spiega –. Si tratta di interventi possibili attraverso regolamenti e linee guida per le Regioni, riscrivere la legge oggi è inopportuno». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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