lunedì 12 gennaio 2009
Parla l'oncologo francese Israël, in prima linea contro il suicidio medicalmente assistito. «Se la ragazza deglutisce da sola, si tratta di una possibilità in più di battersi per la sua vita».
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Si è scoperto che Eluana En­glaro deglutisce in maniera autonoma? « Questa è una possibilità in più per battersi in fa­vore della sua vita». Il reale signi­ficato dell’eutanasia? « Essa è con­traria alla medicina: se si arrivas­se alla sua legalizzazione, la gente, nel caso in cui si trovasse in una situazione terminale, avrebbe paura ad entrare in un ospedale per timore di subirla » . Il professor Lucien Israël in Fran­cia è una vera e propria autorità scientifica: nato nel 1926, oncolo­go molto celebre, per oltre vent’an­ni è stato direttore del reparto di Oncologia dell’ospedale Avicenne di Bobigny, ha anche guidato la clinica universitaria di oncologia all’università di Paris-Nord. Nel 2007 è stato eletto membro dell’Accademia nazionale di Scienze morali e politiche al posto del celebre genetista Jérôme Lejeune, lo scopritore del difetto genetico all’origine della sindrome di Down. Dallo stesso anno è anche alla guida della stessa Accademia e dell’Unione Nazionale Interuniversitaria. «Laico» e agnostico dal punto di vista religioso, Israël ha fatto della sua battaglia contro il suicidio medicalmente assistito uno dei punti qualificanti del proprio impegno accademico e clinico. Ha da poco pubblicato Contro l’eutanasia (Lindau, pp. 168, euro 13, con la prefazione del filosofo Alain Besançon) in cui argomenta la sua posizione morale e scientifica avversa ad ogni forma – anche larvata e indiretta – della pratica eutanasica. Al telefono da Parigi ci illustra il suo pensiero, in particolare in riferimento al caso-Englaro.Perché, come medico e uomo di scienza, è contrario all’eutanasia?«Per diverse ragioni, che sono sia di carattere umanitario e spirituale che di ordine medico. Non penso che i medici esistano per favorire la morte dei loro pazienti: io mi batto per difendere la vera medicina che deve curare e non dare la morte. Inoltre, da un punto di vista tecnico, le cure e i procedimenti terapeutici migliorano e si sviluppano in maniera così veloce che nel giro di settimane o di mesi possono risultare possibili interventi e metodiche che prima non ci si sognava neppure. Bisogna dare le giuste opportunità al progresso medico. Per questo insieme di motivi sono assolutamente contrario all’eutanasia». Coloro che vogliono sospendere l’alimentazione e l’idratazione artificiale di Eluana Englaro sostengono che tali pratiche rappresentano un esempio di accanimento terapeutico. Lei cosa pensa al riguardo?«Premetto che non conosco nel dettaglio il caso di questa ragazza italiana, ma immagino che mentre le si assicura la nutrizione e l’idratazione ci si prenda anche a cuore della sua salute. In questo caso la medicina fa nient’altro che il suo dovere. Dar da mangiare e da bere per via artificiale a una persona non rappresenta in nessun modo un accanimento terapeutico: così si può proseguire nel curare le persone, come mi è successo nel caso di alcuni soggetti malati di cancro. Non bisogna mai arrivare al punto di abbassare le braccia e dire: beh, non c’è più niente da fare, facciamo morire questo malato. Se si facesse così, la medicina non sarebbe più la stessa». Di recente si è scoperto che Eluana deglutisce da sola, autonomamente: questa «nuova» situazione clinica cosa le fa dire?«Penso che si tratti di una possibilità in più per battersi in favore della vita di questa ragazza. Vanno messe in atto tutte le possibilità per essere più umani». La sentenza del tribunale di Milano sul caso Englaro afferma che la sospensione della nutrizione artificiale a Eluana deve avvenire in una struttura sanitaria accreditata. Nel suo libro lei rivolge numerosi appelli al corpo medico perché non si faccia strumento di nessun atto eutanasico. Cosa si sente di dire al personale sanitario italiano? «Credo sia importante rinnovare questo appello. In nessun caso la gente deve arrivare a pensare, in una situazione di malattia terminale: aiuto, ci sarà qualcuno che si prenderà cura di me in ospedale?».
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