sabato 16 febbraio 2013
L'appello del premier: «Non si governa con mezzo parlamento contro. Se si torna a votare presto Grillo e i populismi raddoppiano i consensi, Bersani capirà che occorre unire le forze per fare riforme difficili contro crisi e nuova Tangentopoli». Ma il leader Pd insiste: «Sarò io a mettere d'accordo lui  e Vendola» (Marco Iasevoli)
Altolà di Berlusconi: «Mai più una grande coalizione». E il Cavaliere «gufa» sul Professore (Davide Re)
Il caso: la «doppia offerta» a Mario Monti
COMMENTA E CONDIVIDI
«Dopo il voto Bersani sarà costretto a fare i conti con una situazione nuova. Le forze populiste faranno la voce grossa in Parlamento, la crisi economica non allenterà la presa, e ora questo incubo di una nuova Tangentopoli...». Mario Monti sospira e, davanti ai suoi, inizia davvero a ragionare sul dopo-voto. «Il Pd dovrà ammettere che non si può governare con mezzo Paese contro e con un quadro così sfibrato. E allora servirà un’intesa ampia, una riedizione (senza Berlusconi) della "strana maggioranza" che garantisca riforme forti e incisive. Non solo economiche, ma anche istituzionali. Un accordo vero per una legislatura costituente, non un patto di pochi mesi. Perché se si torna al voto dopo un anno Grillo raddoppierà i consensi e Silvio resterà più che mai in pista e i suoi non lo lasceranno...». Dopo giorni segnati dai dubbi Monti ha chiara la strada maestra: ritiene un azzardo l’accordo solo con Bersani e Vendola. Un azzardo per la governabilità. Un azzardo che fiaccherebbe la prospettiva di un nuovo soggetto politico che vada oltre destra e sinistra.La strategia che adotterà dalla sera del 25 febbraio è dunque un’altra: riprendere i contatti con gli spezzoni del Pdl che gli sembravano più vicini prima della crisi di governo. Il Pdl di Alfano, per intendersi. «Le voci responsabili torneranno a farsi sentire, ma si convinceranno a lasciare Silvio solo di fronte ad una credibile prospettiva di governo...», scommette il Professore. E, seconda mossa, Monti rifiuterà la stretta di mano esclusiva con il leader di Sel. «Non si governa per vivacchiare nel mare in tempesta...», è la convinzione del premier uscente. Che però ha bisogno, per realizzare il suo progetto di una nuova Grande Coalizione politica e non più tecnica, di un consenso forte, che vada oltre il 15 per cento. È un disegno che vede lui a Palazzo Chigi o all’Economia, ovviamente. E che - fatto non irrilevante - mette a tacere le divisioni interne sugli scenari del post-voto. Non è un mistero che dentro Scelta civica convivano chi accetterebbe Vendola e chi no.Capita l’aria che tira, Bersani prende le contromisure. Nell’ultima settimana di campagna elettorale cercherà in modo forsennato di garantirsi una maggioranza autonoma anche al Senato. Ma nel caso non ci riuscisse è pronto a «dirigere il traffico tra Monti e Vendola». Si prenderà, cioè, l’onere della trattativa tra i due leader proponendo «quattro-cinque provvedimenti» su cui convergere. «E voglio vedere chi non si assume la responsabilità», avverte. Ma Monti è pronta a ribaltare l’offerta: «Quando si parlerà di cose concrete torneranno al centro l’Europa, la competitività, la riforma del lavoro. Vendola è pronto a farsene carico? Bersani capirà da solo che la sua coalizione non può reggere l’urto. E io – assicura – lavorerò perché lui non si ritrovi di nuovo a trattare con Berlusconi».In serata le due braccia del suo movimento politico, Riccardi e Montezemolo, sigillano la linea: «Non ci interessano accordi sotto banco», dice il ministro uscente. «Il crinale è ancora vicino, serve un governo riformista con forze di destra e di sinistra», riprende il presidente Ferrari. E il professore, con una sicurezza ritrovata, carica i 2mila accorsi alla kermesse romana che lancia anche il voto nel Lazio: «Non costruisco sogni ma so come superare gli incubi. I partiti si sono tirati indietro quando erano in difficoltà, ora non gli permetteremo di richiudersi di nuovo nel fortino...».
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: