martedì 11 marzo 2014
Verso l'appuntamento con il Papa del 10 maggio. Il confronto più urgente? Ridare speranze a tutta la scuola.
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Sette parole per rilanciare l’educazione e un appuntamento per rendere visibile l’impegno della «Chiesa per la scuola». Tutta. Senza aggettivi. È il cammino che dal maggio dello scorso anno la Conferenza episcopale italiana sta proponendo a tutte le realtà locali e a tutti i protagonisti di quella che viene chiamata l’alleanza educativa. Un percorso che sabato 10 maggio vivrà un momento entusiasmante e significativo in piazza San Pietro, al quale parteciperà papa Francesco, che in questo primo anno di pontificato ha spesso dimostrato la propria attenzione al mondo dell’educazione e dei giovani. E l’incontro con il Pontefice vuole diventare una tappa di un cammino destinato a proseguire nel tempo. Un traguardo, ad esempio, è l’appuntamento del Convegno ecclesiale nazionale di Firenze 2015 che avrà nell’emergenza educativa uno dei temi forti.Lo dice chiaramente monsignor Domenico Pompili, sottosegretario e direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della Cei. «Questo percorso si colloca all’interno del decennio che la Chiesa italiana ha voluto dedicare al tema dell’educazione – spiega –. Ecco perché desideriamo parlare di una tappa e non di un traguardo. Del resto la scuola è un crocevia nel quale non possiamo far mancare la nostra presenza e il nostro contributo. Il rapporto tra scuola e Chiesa è antico e ha permesso una crescita culturale. Vogliamo ribadire con forza che si deve investire nell’educazione, ridando dignità alla scuola, che è un luogo di confronto e incontro tra le generazioni e deve essere anche una cerniera con il mondo del lavoro». Per questo motivo lo slogan scelto per il cammino è semplice, ma allo stesso tempo impegnativo: «La Chiesa per la scuola». Un impegno senza aggettivi, perché, come si legge nella lettera di invito all’incontro del 10 maggio, «la Chiesa italiana vuole testimoniare la propria attenzione al mondo della scuola, guardando ad esso nella sua interezza, scuola pubblica statale e scuola pubblica paritaria, perché tutti i bambini , i ragazzi e i giovani impegnati nel faticoso ma appassionante percorso della propria crescita meritano la medesima considerazione».Una attenzione che si esprime in sette parole, in sette grandi temi, «per invertire una rotta – auspica monsignor Pompili –, ma che non intendono essere un rifugio idealistico, perché siamo ben consci della "ruvidità" che si può incontrare nel mondo della scuola, fatto di fatiche quotidiane».E la prima parola è proprio educazione, intesa come aiuto a diventare persone adulte inserite in una comunità. Vi sono poi gli insegnanti, che sono risorsa fondamentale per una buona scuola. Un impegno che vede al centro generazioni e futuro, dove l’intera società si gioca molto. Poiché l’educazione non è solo acquisizione di competenze, ecco la necessità di un umanesimo. Nelle sette parole non possono mancare autonomia e sussidiarietà che sono sancite dalla Costituzione e dalle leggi, per riscoprire la scuola come comunità, inserita una rete con altre realtà educative. Il tutto per dare vita a una alleanza educativa, in primo luogo tra scuola e famiglia, ma anche tra tutti i soggetti che di educazione a vario titolo operano.Parole forti sulle quali, spiega Pompili, «abbiamo invitato tutte le realtà diocesane e parrocchiali a riflettere, con uno sguardo rivolto a tutti». Insomma una «mobilitazione» e una «sensibilizzazione» di «tutta la scuola», superando eventuali antichi steccati, che non hanno motivo di esistere. E per dare dimostrazione della necessità di camminare insieme, la stessa Chiesa cattolica ha deciso di mostrare un’unità operativa tra quattro suoi Uffici. «Nel nostro caso – spiega don Maurizio Viviani direttore dell’Ufficio nazionale per l’educazione, la scuola e l’università – siamo pienamente coinvolti nella campagna di sensibilizzazione e di mobilitazione». E nel contempo, conferma, «siamo proiettati su un percorso a più lunga distanza, che comprende anche Firenze 2015».Sulla stessa lunghezza d’onda anche don Daniele Saottini, direttore del Servizio nazionale per l’insegnamento delle religione cattolica. «La presenza dei docenti di religione nelle scuole – spiega – è già segno di questa collaborazione che l’evento intende promuovere. Sono il segno evidente dell’impegno che la Chiesa per la scuola. Una presenza apprezzata, visto che l’88,4% degli studenti italiani chiede di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica». Insomma un «valore aggiunto» a un percorso di formazione della persona integrale.Un concetto ben chiaro anche a don Michele Falabretti, responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. «Noi ci occupiamo dei giovani e della loro crescita – sottolinea – e non possiamo pensare le persone a compartimenti stagni. Dobbiamo considerare la persona nella sua globalità. Ecco allora l’importanza del dialogo e del rapporto privilegiato che anche la pastorale giovanile deve avere con la scuola, dove i nostri ragazzi passano gran parte della loro esistenza». Ma le comunità parrocchiali, «nelle quali operiamo – aggiunge – non sono estranee all’impegno educativo legato alla scuola. Si pensi ai doposcuola o agli spazi studio che vengono offerti come servizio alle famiglie».E non poteva mancare in questo quartetto di Uffici Cei che si occupano del cammino verso il 10 maggio, quello nazionale per la pastorale della famiglia. «La famiglia – commenta il direttore don Paolo Gentili – è depositaria principale dell’impegno educativo e deve diventare sempre più consapevole che il futuro della scuola passa anche nelle sue mani. Del resto quel primato educativo di cui è depositaria, la famiglia non è sempre in grado di affrontarlo da sola e quindi deve porsi in collaborazione con realtà attrezzate, come è la scuola. Ma quest’ultima oggi appare in affanno». L’impegno, conclude don Gentili, è di «rendere la scuola capace di futuro e non solo un parcheggio nell’attesa di entrare nella vita».La Chiesa italiana ha voluto raccogliere proprio questa sfida, consapevole che la scuola «è un bene comune», su cui «ci si gioca il futuro del Paese».
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