lunedì 11 marzo 2019
Tra le 8 vittime italiane dell'areo schiantatosi in Etiopia c'è anche il presidente della ong Cisp. Un anno fa la sua lettera aperta a questo giornale
Paolo Dieci in una foto tratto dal suo profilo Facebook

Paolo Dieci in una foto tratto dal suo profilo Facebook

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Tra le 8 vittime italiane della sciagura aerea di Addis Abeba figura anche Paolo Dieci, romano, presidente di Link 2007, una rete delle più importanti Ong italiane. 56 anni, sposato e padre di tre figli, aveva fatto della cooperazione internazionale la sua vita.

"Punto di riferimento e figura tra le più autorevoli nel mondo delle ong, Paolo ha dedicato la sua vita alla cooperazione internazionale allo sviluppo, portando le sue competenze, il suo impegno, il suo entusiasmo per la solidarietà e lo sviluppo delle aree più povere del pianeta e in contesti di crisi, soprattutto in Africa e in America Latina". Così lo ricorda Claudia Fiaschi, portavoce del Forum del Terzo Settore. "Abbiamo avuto modo - prosegue Fiaschi - di lavorare insieme, in questi anni, su tanti temi, in particolar modo sulle migrazioni. Esprimiamo la nostra vicinanza a sua moglie, ai suoi figli e a tutti gli amici e colleghi che hanno lavorato con lui in questi anni, potendo venire a contatto con i suoi valori e le sue idee per una società più giusta e solidale".

Qui di seguito una lettera aperta scritta ad Avvenire e pubblicata nel gennaio 2018, con una fatidica (e provocatoria) domanda: «Serve ancora la cooperazione internazionale. E se sì, perché?».

Caro direttore,

compiere 35 anni per il Cisp è un traguardo importante. Arriviamo a questo appuntamento con un bagaglio di 1.500 progetti in più di 30 Paesi in ogni regione del mondo, avendo raggiunto direttamente 100 milioni di persone, avendo assicurato accesso all’acqua pulita, i diritti all’educazione, alle cure sanitarie, al credito, avendo ispirato politiche pubbliche inclusive e sostenibili. Abbiamo scelto di far coincidere il nostro anniversario con una riflessione, oggi, sul significato del nostro lavoro, cercando di rispondere alla domanda: serve ancora la cooperazione internazionale e se sì, a cosa? Esiste ormai un vero e proprio genere letterario sviluppatosi attorno allo scetticismo sull’impatto della cooperazione e siamo convinti che spetti a noi dare risposte chiare e concrete a questo scetticismo.

Confortati da anni di lavoro con le comunità locali, dall’analisi di centinaia di rapporti di valutazione sui progetti realizzati, dal confronto sistematico con i nostri partner nei Paesi dove operiamo, rispondiamo alla domanda sull’utilità della cooperazione in questo modo: sì, la cooperazione internazionale serve, è anzi in tante aree del mondo il solo strumento attivabile per dare risposte sostenibili a diritti negati e bisogni non soddisfatti. Serve anche a ispirare politiche pubbliche inclusive e sostenibili. Un progetto in campo educativo per garantire l’accesso scolastico a bambine e bambini con disabilità e ridurre le diseguaglianze di genere può migliorare la vita dell’infanzia nell’area in cui si realizza e ispirare approcci e metodologie assumibili dalle istituzioni nazionali anche in altre aree.

Non è un’aspirazione generica, è per il Cisp la storia di questi 35 anni. Progetti come quello cui si è fatto riferimento sono stati realizzati e sono in corso in tanti Paesi: dalla Somalia all’Etiopia, al Kenya, all’Algeria, all’Armenia, alla Colombia, all’Ecuador, al Libano, alla Palestina, solo per fare alcuni esempi. Se non fossimo convinti del fatto che la cooperazione internazionale serve, considereremmo chiusa la storia iniziata 35 anni fa. La verità è che al contrario guardiamo con entusiasmo ai prossimi 35 anni, che vedranno protagonisti della nostra associazione migliaia di giovani africani, europei, latino americani, cittadini del Mediterraneo e del Medio Oriente che rappresentano e rappresenteranno la nostra forza. In questi giorni, tramite un confronto tra colleghe e colleghi attivi nei Paesi dove operiamo, stiamo definendo la nostra nuova dichiarazione di intenti, ispirata ai contenuti dell’Agenda 2030 sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Due, tra gli altri, i temi 'forti': il contrasto dell’esclusione sociale, ovunque questa si manifesti, e la declinazione della sostenibilità in più direzioni: ambientale, economica, sociale, istituzionale, in linea con l’enciclica Laudato si’.

Cinque parole possono servire a riassumere il senso della nostra mission, che poniamo al centro del dibattito sulla cooperazione internazionale nel mondo contemporaneo. La prima è accountability, il dare conto dei risultati delle valutazioni di impatto dei progetti. La seconda è professionalità, che rappresenta un impegno deontologico nei confronti dei Paesi e delle comunità. La terza è partenariato: le sfide della povertà e dell’ingiustizia non si possono affrontare da soli. Per questo abbiamo fondato con altre Ong in Italia la rete Link 2007 e in ogni Paese diamo vita ad alleanze con istituzioni, associazioni di categoria, imprese, università, centri di ricerca, associazioni della società civile. La quarta parola è ownership: i protagonisti dei processi di sviluppo sono, in ogni Paese, i soggetti locali rappresentativi del tessuto comunitario, istituzionale, associativo, accademico, imprenditoriale. La quinta parola è innovazione, che si traduce, in ogni contesto, nell’analisi delle buone pratiche esistenti e nell’identificazione delle possibili innovazioni tecniche e sociali in funzione dell’efficacia e della sostenibilità.

*Presidente del Cisp, Comitato Internazionale per lo Sviluppo dei Popoli



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