lunedì 26 febbraio 2018
Il presidente della Saras è scomparso a 81 anni. Era fratello dell'ex presidente dell'Inter Massimo e marito dell'ex sindaco di Milano Letizia
Addio a Gian Marco Moratti, imprenditore familiare impegnato anche nel sociale
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Tanto garbato quanto riservato. Ma, soprattutto, un vero capitano d’impresa che non ha mai dimenticato un impegno anche nel sociale. L’intera Italia dell’economia piange e ricorda così Gian Marco Moratti, spentosi ieri a 81 anni, i cui funerali sono previsti stamane nella chiesa di San Carlo, nel centro di Milano, a due passi dal quartier generale del suo Gruppo e dalla sua casa di via Bigli. Nato a Genova il 29 novembre del 1936, laureato in giurisprudenza all’Università di Catania, con due matrimoni e quattro figli Angelo e Francesca, avuti da Lina Sotis, e Gilda e Gabriele, nati dalle seconde nozze con Letizia Brichetto, Moratti, è stato il vero erede dell’impero di raffinazione petrolifera fondato nel 1962 attorno al gruppo Saras da suo padre Angelo.

Se era diverso per carattere dal più giovane fratello Massimo, preso dal sacro fuoco della passione calcistica ereditata dal padre e protagonista dei fasti dell’Inter del "triplete", Gian Marco è stato imprenditore a tutto tondo, capace di assumere decisioni importanti anche scontrandosi con le opinioni di molti, ma sempre attento ad ascoltare tutti con un tocco di naturale educazione che faceva parte del suo dna.

Da papà Angelo aveva imparato alcune lezioni fondamentali, la prima delle quali che il gruppo industriale doveva essere non solo preservato, ma fatto crescere – anche grazie alla quotazione in borsa nel 2006 – e che con lo sviluppo non poteva però essere persa l’unità della famiglia. Questo spiega perché nella governance di Saras compaiono Massimo come amministratore delegato e in consiglio d’amministrazione siedono i suoi figli Angelomario e Giovanni, ma anche i nipoti Angelo e Gabriele. Gian Marco Moratti ha sempre, però, tenuto a difendere dalla sfera degli azionisti anche l’autonomia dei suoi manager, molti pescati dall’esterno.

Così dal 1962 Saras è cresciuta: oggi capitalizza circa 1,7 miliardi di euro e dà lavoro a circa 2mila dipendenti. Il suo core business è nella raffinazione, svolta dall’impianto di Sarroch, in Sardegna, uno dei più grandi del Mediterraneo, con una capacità produttiva di circa 300mila barili al giorno, ma nel corso degli anni Duemila ha diversificato avviando un impianto di gasificazione a ciclo combinato per convertire i residui della raffinazione e un parco eolico a Ulassai (Nuoro). Nel 2013 Gian Marco Moratti vara l’alleanza col colosso petrolifero russo Rosneft che aveva rilevato, in accordo con la famiglia, il 21% di Saras.

Ma l’intesa che doveva avere il suo perno in una joint-venture per la lavorazione e vendita di petrolio e derivati, è stata chiusa tre anni dopo, a causa delle sanzioni contro la Russia che hanno impedito di portare avanti i progetti comuni. Un’altra lezione appresa dal padre, che nel 1976 vendette al gruppo Rizzoli le sue azioni del Corriere della Sera, fu di non aver più niente a che fare con i giornali e in egual misura con le banche se si pensa che i Moratti non sono mai entrati nel "Salotto buono" degli azionisti di Mediobanca. Perché anche in questo caso Gian Marco Moratti preferiva essere piuttosto che apparire, restando lontano con la sua impresa dai giochi talora pericolosi della grande finanza del nostro Paese.

Appassionato di vini, come suo padre, era proprietario con la moglie Letizia – da lui ammirata e amatissima e sempre sostenuta da dietro le quinte sia nella parentesi politica sia nell’impegno aziendale – del Castello di Cicognola nell’Oltrepò Pavese dove produceva Barbera e l’ultimo Nebbiolo che ha chiamato "PerPapà", dedicandolo appunto a papà Angelo. E sempre con la consorte Gian Marco Moratti è stato tra i principali sostenitori della comunità di san Patrignano ideata da Vincenzo Muccioli per aiutare i ragazzi tossicodipendenti. «Ho cercato di parlare il meno possibile – ha detto in una delle sue rarissime interviste –. E ho vissuto bene».

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