mercoledì 6 aprile 2016
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Sempre attivi in Parlamento, chiedono una regolamentazione. Prima risposta dalla Camera «La telefonata fra Gemelli e l’ex ministro Guidi? È il sogno di ogni lobbista. Un’interlocuzione diretta con un membro del governo che ti dà in anteprima delle notizie! In pratica Gemelli ci ruba il lavoro, è come un dentista abusivo. C’è però una bella differenza: lui trafficava per avere commesse da 2,5 milioni di euro, una società di lobbying può chiedere al massimo 100mila euro l’anno». Le parole di Antonio Iannamorelli, abruzzese, giovane - 38 anni - e brillante direttore operativo di Reti, una delle principali società di lobbyingattive in Italia (fondata, fra gli altri, da Claudio Velardi, ex collaboratore di D’Alema), celano il cruccio degli operatori di questo mondo ramificato (si parla di 1.500-2mila persone, ma non esistono dati precisi) per l’'inchiesta Petrolio' che ha riacceso i riflettori su uno dei mali cronici del 'sistema- Italia': la mancata approvazione di una legge sulle lobby. Questa categoria di lavoratori continua così a essere avvolta nel Belpaese da un certo alone di mistero proprio perché non c’è una regolamentazione (a differenza degli altri principali Paesi), pur essendo presente praticamente da sempre per rappresentare le istanze dei clienti - multinazionali, federazioni industriali, grandi o piccole imprese - presso i 'decisori', governo e politici. «Veniamo 'incolpati' magari di voler fermare una liberalizzazione – prosegue Iannamorelli – o privatizzare un servizio pubblico, senza considerare che quasi sempre c’è un nostro collega che lavora sul fronte opposto, cioè per sostenere quella liberalizzazione». Attorno a loro aleggia una cornice di leggenda, senza rispettare l’aderenza alla realtà. Un’azione, la loro, la cui essenzialità fu mirabilmente riassunta già da John F. Kennedy: «Ti spiegano in tre minuti quello che un mio collaboratore spiega in tre giorni», disse il presidente Usa. Sono loro per primi, insomma, a esigere un riconoscimento ufficiale che preveda anche una maggior tutela della loro attività. Un business che ruota fra politica e quelle grandi burocrazie il cui peso non è diminuito. Sovente sono proprio queste ultime, fra influenti capi di gabinetto e dirigenti ministeriali, a voler mantenere un potere di mediazione. Noti sono i settori più 'invasi': energia (appunto), gioco d’azzardo (molto cresciuto negli ultimi anni), credito, tabacchi, assicurazioni, sanità, edilizia, editoria. Così come sono conosciute anche le principali società operanti nel settore: c’è la Open Gate di Franco Spicciariello e Tullio Camiglieri (ex capo comunicazione Sky), la già citata Reti, la Cattaneo Zanetto (quest’ultimo è stato un forzista e la società vanta un fatturato di quasi 4 milioni), la Fb&Associati di Fabio Bistoncini, la Comin&Partners di Gianluca Comin (ex Telecom ed Enel, è uno degli ultimi 'ingressi'), la UtopiaLab di Giampiero Zurlo. Non per niente il lobbismo è a volte l’approdo di parlamentari ormai in pensione, nonché di ex giornalisti, che mettono così a frutto le relazioni maturate nei 'Palazzi' romani. Ad aprire nuovi scenari a questo 'mondo sotterraneo' è poi il nuovo sistema di finanziamento dei partiti: in declino quelli pubblici, destinati a sparire nel 2017, avranno un peso sempre maggiore le donazioni private: già nel 2013 (ultimi dati ufficiali) hanno conosciuto un balzo, passando a 61 milioni dai meno di 39 dell’anno prima. Eppure regolare la materia resta un’impresa. Dal 1948 a oggi ci sono state 27 proposte di legge per creare in qualche modo un registro dei 'rappresentanti d’interessi'. Gli ultimi tentativi sotto i governi Monti e Letta. I lobbisti, intanto, continuano a frequentare le Camere accreditandosi in vario modo (a vigilare sui loro ingressi, a Montecitorio, c’è un consigliere parlamentare, Fabrizio Fabrizi). Ora ci si riprova. Ma mentre al Senato una legge è all’esame della commissione Affari costituzionali (e l’ex grillino Luis Orellana ha tentato di fare un blitz, sfumato, anche nel ddl concorrenza), alla Camera si è più lontani. Tanto che si è decisa una 'scorciatoia': in vista della visita in Italia, il 26 aprile, e della valutazione da parte del Greco (acronimo che raccoglie 49 Paesi che hanno sottoscritto un documento del Consiglio d’Europa sulla lotta alla corruzione), la presidente Laura Boldrini sta premendo per far varare almeno un 'Codice di condotta', di cui è relatore Pino Pisicchio (vedi sotto). Resta però l’attesa per una legge organica. Davanti alla quale Iannamorelli avanza una richiesta: «Va bene la trasparenza, ma servono norme che tutelino anche la clausola di riservatezza che spesso ci viene imposta nei contratti. L’ideale sarebbe un sistema premiale, che riconosce dei benefici tipo l’accesso a una maggior quantità di dati - a chi si registra ufficialmente». © RIPRODUZIONE RISERVATA Uno scorcio del 'Transatlantico', l’ampio salone di palazzo Montecitorio.
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